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Chi sono i rifugiati ambientali?

Chi sono i rifugiati ambientali?

Tratto da : http://comune-info.net/2017/06/chi-sono-i-rifugiati-ambientali/

di Guido Viale*

 

Chi sono i rifugiati ambientali? Secondo Essam El-Hinawi, che ha introdotto questo termine nel 1985, si tratta di “persone che sono state costrette a lasciare il loro habitat abituale, temporaneamente o per sempre, a causa di una significativa crisi ambientale (naturale e/o provocata da attività umane, come per esempio un incidente industriale) o che sono state spostate in via definitiva da significativi sviluppi economici o dal trattamento e dallo stoccaggio di scarti tossici, mettendo così a repentaglio la loro esistenza e influenzando gravemente la qualità delle loro vite”. Un’altra definizione da prendere in considerazione è quella dell’Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni) che, si badi bene, parla di migranti ambientali e non di profughi. Vedremo che in un diverso contesto la differenza è molto importante. Per l’Oim (2007) i migranti ambientali sono “persone o gruppi di persone che, per pressanti ragioni di un cambiamento improvviso o graduale che influisce negativamente sulle loro vite o sulle loro condizioni di vita, sono costretti a lasciare le loro dimore abituali o scelgono di farlo, temporaneamente o per sempre, e che si spostano sia all’interno del loro paese che oltre confine”. Entrambe queste definizioni collocano i profughi o i migranti ambientali fuori dal diritto alla protezione internazionale garantita dalla Convenzione di Ginevra del 1951, in base alla quale le persone a cui spetta il diritto di asilo sono solo quelle costrette a fuggire da un fondato timore di persecuzione (da parte di uno Stato) per cinque ragioni: razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un particolare gruppo sociale. Successivamente il diritto di asilo è stato esteso includendovi ogni tipo di violenza e, in particolare, la guerra. In ogni caso il termine profugo (refugee) si applica solo alle persone che varcano il confine del proprio Stato, mentre le persone che si spostano al suo interno per cause di forza maggiore, siano esse la guerra, la violenza o il degrado ambientale, sono chiamate (displaced persons) e non possono ovviamente essere fatte oggetto di protezione internazionale. La correttezza del termine profugo ambientale è stata comunque contestata soprattutto sulla base di due considerazioni. Primo, il rapporto tra degrado ambientale ed esodo all’estero non è quasi mai diretto. Prima di abbandonare il proprio paese le vittime di un processo di degrado ambientale cercano per lo più altre strade: si spostano in un altro territorio, spesso dalla campagna alla città o dalle regioni periferiche alla capitale. Solo in un secondo tempo tentano la via dell’estero. Ricostruire l’eziologia di questo esodo è pertanto molto difficile. “I disastri – afferma il professor Roger Zetter dell’Università di Oxford, una delle massime autorità negli studi su questo argomento – non spostano la gente. È la loro vulnerabilità sociale e politica e la loro esposizione agli shock a predisporli allo spostamento. L’ambiente non ‘perseguita’ come possono farlo una dittatura o una guerra”. Secondo, il tentativo di estendere ai migranti ambientali la protezione internazionale garantita dalla Convenzione di Ginevra, in particolare in un periodo in cui la sua applicazione viene messa in forse da molti Governi, rischia di diluire e compromettere anche la protezione accordata alle persone che la Convenzione deve proteggere. Altri studiosi ritengono invece che i profughi ambientali siano effettivamente vittime di una violenza, quella dei cambiamenti climatici provocati dall’Occidente e dei disastri prodotti dai suoi investimenti, che rendono tutti gli Stati e i popoli che sono all’origine di questi processi responsabili del destino di chi è costretto a fuggire. Per il professor Francois Gemenne dell’Università di Paris Vincennes, i profughi ambientali sono effettivamente vittime di violenza: quelli propri dell’antropocene, cioè dei cambiamenti climatici e dei disastri ambientali provocati dall’Occidente, dai suoi consumi e dai suoi investimenti, che rendono tutti gli Stati e i popoli che sono all’origine di questi flussi responsabili del destino di chi è costretto a fuggire. Per questo hanno diritto a una protezione internazionale. Quale che siano le ragioni che spingono sia i profughi di guerra che i migranti ambientali a fuggire dai loro paesi, oggi sono entrambi esposti allo stesso carico di maltrattamenti, violenza, sfruttamento, rapine e rischi mortali durante il loro viaggio verso l’Europa, dato che nessun corridoio umanitario viene predisposto per facilitare il loro arrivo. Come si è visto, le cause che spingono i profughi e i migranti ambientali ad abbandonare il loro paese sono diverse. Più in particolare esse rientrano in una delle seguenti categorie: Eventi ambientali estremi come terremoti, alluvioni. Uragani, siccità, carestia, ecc.; Lento degrado del suolo anno dopo anno, come desertificazione, innalzamento del livello del mare, esaurimento degli acquiferi (tutti fenomeni che dipendono dai cambiamenti climatici); Interventi umani che cambiano lo stato di un territorio, come miniere, pozzi petroliferi o per l’estrazione del gas, appropriazione del suolo o dell’acqua, costruzione di grandi infrastrutture come dighe, oleodotti, ferrovie, strade, impianti turistici, sviluppo urbano o grandi manifestazioni come Giochi Olimpici o esposizioni internazionali. I profughi e i migranti ambientali abbandonano i loro luoghi di origine secondo modalità differenti a seconda dei fenomeni che li hanno spinti a farlo. Quando sono in gioco eventi estremi e improvvisi, quasi tutti gli abitanti di un’area si spostano insieme verso altre aree il più possibile vicine a quelle che lasciano, per lo più all’interno dello stesso paese. Quando invece il fattore determinante è un degrado graduale dell’habitat, l’emigrazione è in genere più selettiva. Si spostano (da soli o in piccoli gruppi) solo alcuni membri di una famiglia o di una comunità, in genere giovani, spesso i più istruiti e persino i più benestanti, anche perché devono sostenere i costi del loro viaggio, tutt’altro che indifferenti, con le risorse delle loro famiglie o con quelle di parenti che si trovano già all’estero e che li attendono. Spesso, prima di imbarcarsi in un viaggio rischioso verso l’Europa, raggiungono una città o la capitale del paese, dando origine a nuovi slum. Il loro obiettivo principale è guadagnare e mandare del denaro a casa per integrare le scarse risorse delle loro famiglie. Il modello di migrazione seguito dalle persone cacciate dalla costruzione di un’infrastruttura o da qualche altro progetto di sviluppo riproduce quello delle persone colpite da un evento estremo, anche quando il loro trasferimento è organizzato da un’agenzia di governo. Il modello della gente che fugge da una guerra è invece spesso simile a quello seguito dalle persone cacciate dal degrado del loro habitat, anche quando la loro fuga assume le caratteristiche di una valanga, come oggi in Siria. In entrambi questi schemi di esodo, la maggioranza delle persone desiderano tornare prima o poi da dove sono venuti, anche se pochi riescono poi a farlo. Improvvisi disastri ambientali o lento degrado di un habitat sono spesso causa di conflitti armati o di guerre, perché un ambiente immiserito riduce le risorse di una comunità che vive di un’economia di sussistenza, inducendo gruppi etnici o armati ad accaparrarsi quel che resta a spese di altri gruppi anche con le armi. È questo, per esempio, il caso del confitto che coinvolge Boko Haram nel nordest della Nigeria, o di quello che aveva devastato il Ruanda. Spesso l’economia nazionale o le politiche del Governo non sono in grado di far fronte alla rapida crescita di conglomerati urbani provocati da una migrazione interna. È questa una situazione che sfocia facilmente in rivolte urbane che, in un contesto vulnerabile, possono poi esplodere in una guerra aperta, soprattutto se delle potenze straniere cercano di trarre vantaggio dalla situazione per raggiungere i loro scopi. È questo il caso della Siria: alle origini della guerra che la sta devastando ci sono anni di siccità che avevano strappato un milione e mezzo di contadini dalle loro terre, facendoli confluire verso città già sovraffollate. Qui, in una fase di radicalizzazione e internazionalizzazione del conflitto, l’obiettivo principale dello Stato islamico è stato quello di accaparrarsi le risorse strategiche del paese: in particolare i pozzi petrolifere e soprattutto le risorse idriche attraverso il controllo delle dighe. Tornando a una visione di insieme, le seguenti carte dell’Africa centrale e settentrionale – prese dalla relazione di Grammenos Mastrojeni al convegno Il secolo dei profughi ambientali?, Milano, 24.9.2016 – mostrano come ci sia una sovrapposizione quasi completa tra le aree segnate da degrado ambientale (1), i paesi coinvolti in una guerra o in un conflitto armato (2), le aree colpite da una carestia (3) e le zone da cui proviene la maggioranza dei flussi migratori (4); a riprova di quanto sia difficile distinguere i profughi di guerra da quelli cacciati da un disastro ambientale. È sbagliato considerare questi conflitti questioni puramente regionali. Il peggioramento dell’ambiente globale e l’allargamento delle aree gravemente colpite dai cambiamenti climatici provocano un conflitto crescente tra i paesi “sviluppati” e la moltitudine dei profughi che cercano la sopravvivenza in paesi meno coinvolti dai cambiamenti climatici. Un documento prodotto dal Pentagono già nel 2004 così prospettava il futuro che ci attende: Le prossime guerre saranno combattute per ragioni di sopravvivenza. Nei prossimi venti anni diventerà evidente un sensibile calo della capacità del pianeta di sostenere la popolazione esistente. Milioni di persone moriranno a causa di guerre o carestie, finché gli abitanti del pianeta non saranno stati ridotti a un numero sostenibile. I paesi più ricchi, come gli Stati uniti e l’Europa si trasformeranno in “fortezze virtuali” per impedire l’arrivo di milioni di migranti espulsi dalle loro terre sommerse o non più in grado di produrre cibo per mancanza di acqua. Ondate di profughi in arrivo via mare creeranno gravi problemi. Rivolte e conflitti finiranno per spezzare l’Africa e l’India. I Governi incapaci di garantire le risorse di base e i servizi essenziali e di difendere i propri confini verranno spazzati via dal caos e dal terrorismo. Ma quanto sono i migranti o profughi ambientali? Global Estimates calcola che dal 2008 a oggi siano stati circa 28,5 milioni ogni anno. Un’altra fonte sostiene che solo nel 2015 ci siano stati 27,8 milioni di displaced persons, 19,2 dei quali a causa di calamità naturali e 8,6 a causa di conflitti e violenza; L’Oim prevede 250 milioni di profughi ambientali al 2050. Significativo il numero dei profughi provocati da progetti di sviluppo: in Cina, tra il 1950 e il 2015 circa 80 milioni. In India 65 milioni, di cui solo il 17 per cento sono stati ricollocati in modo più o meno appropriato. Ecco alcune cifre di spostamenti provocati da progetti di sviluppo ed eventi organizzati dall’uomo (questi dati sono ricavati dal libro Crisi ambientale e migrazioni forzate, prodotto dall’associazione A Sud, Roma, 2016). Dighe Three Gorges dam (China): 1,2 million Danjiangkou dam (China): 340.000 Narmada (India): 3.200 dams, 250.000 Upper Krishna dam (India): 176 villages, 93.200 families, 300.000 Shuikou and Yantan dam (Cina): 180.000 Itaparica dam (Brasile): 40.000 Kedung Ombo dam (Indonesia): 32.000 Nangbeto dam (Togo): 10.600 Eventi Olimpic games Seul (1988): 720.000 Olimpic games Bejing (2008): more than 1 million Expo Shangai (2010): 400.000 Santo Domingo: 500 year from Discovery of America (1992): 180.000 Quali sono le politiche dell’Unione Europea nei confronti dei profughi? Schematizzando molto per motivi di tempo si può dire quanto segue: L’Europa deve riuscire a respingere il maggior numero possibile di profughi. Lo fa distinguendo tra profughi che hanno il diritto di chiedere asilo in base alla Convenzione di Ginevra perché fuggono guerre o persecuzioni, e “migranti economici”, che non hanno quel diritto e devono essere rimpatriati. I profughi ambientali rientrano in questa seconda categoria. La selezione tra profughi di guerra e migranti economici viene effettuata negli sulla base dei paesi di origine, classificati in sicuri e non sicuri. Paesi come Afghanistan, Mali, Niger, Nigeria, Sudan, Etiopia sono considerati sicuri e i profughi di quei paesi sono considerati migranti economici e sono costretti al rimpatrio. Per promuoverlo vengono stipulati degli accordi con i loro Stati di origine a cui sono versati miliardi di euro in cambio di questa riconsegna. Ma vengono anche dotati di armamento militare o strumenti di sorveglianza e recentemente, come viene prospettato per il Niger, si progetta il trasferimento in loco di un contingente militare per bloccare i flussi. Respingere i profughi tra le braccia degli aguzzini da cui cercano di fuggire significa esporli al reclutamento delle loro formazioni armate, estendere i fronti di guerra, rendere inabitabili per tutti i loro paesi, come lo sono oggi gran parte della Libia e i territori in mano allo Stato islamico. Costituire l’Europa in fortezza può rendere difficile penetrarvi, ma rende anche impossibile uscirne, perché l’intero continente sarà sempre di più circondato da guerre e bande armate. Ma le politiche di respingimento accrescono anche l’ostilità dei circa quaranta milioni di abitanti di origine straniera – di cui venti di religione musulmana – già insediati in Europa come cittadini europei o immigrati regolarizzati. Ostilità che si è già rivelata origine di un terrorismo stragista autoctono e non importato, ma anche di una crescente estraneità e di un crescente rancore di intere comunità che genereranno nuovi conflitti interni su basi etniche o pseudoreligiose. L’alternativa a queste politiche deve essere comunque elaborata dal basso, dalla cittadinanza attiva e non solo dai governi, coinvolgendo sia le comunità autoctone che quelle migranti. Non può essere definita in partenza, ma alcuni dei suoi capisaldi possono essere enunciati fin da ora. Si tratta di un programma radicale, assimilabile a un vero e proprio regime change a livello europeo, che per ora può essere valorizzato solo come strumento di mobilitazione e di condizionamento dei Governi, cercando i necessari collegamenti con tutti i movimenti attivi su questi temi. In sintesi: Primo: Politiche di austerità e incapacità di accogliere sono strettamente legate. “Non c’è posto” per i profughi perché non c’è più posto per tanti cittadini europei dato che l’austerità continua a sottrarre lavoro, reddito, casa e servizi a tutta la parte inferiore della piramide sociale. Non si può gestire i flussi crescenti dei profughi senza affrontare anche la disoccupazione e la povertà tra un numero crescente di cittadini europei: con un vasto programma di spesa non per grandi opere inutili e dannose, ma per mille e mille piccoli interventi nel tessuto della società. Secondo: Sul lungo periodo il riequilibrio demografico della popolazione europea con nuovi apporti dall’esterno, per evitare che si riduca a una comunità di vecchi, è inevitabile. Così si rischia di dover richiamare, in un domani non lontano, una parte di quelle popolazioni che oggi ci adoperiamo per respingere e far annegare. È appena il caso di ricordare che il milione e mezzo di profughi entrati in Europa nel 2015, quando ancora era aperta la rotta balcanica, eguaglia a mala pena i migranti economici accolti ogni anno in Europa per tutto il secondo dopoguerra, fino al 2008, pur in presenza di una crescita demografica autoctona che oggi è venuta meno. Terzo: Per questo occorrono corridoi umanitari di ingresso e soprattutto politiche inclusive, costruite dal basso, fondate su progetti che promuovano la collaborazione tra cittadini europei, soprattutto giovani, e nuovi arrivati. I campi di questi interventi sono noti: assistenza alla persona, agricoltura innovativa di piccola taglia (al posto dello sfruttamento e della schiavizzazione dei profughi e dei migranti non regolarizzati in forme tradizionali di agricoltura estensiva), ristrutturazioni edilizie, salvaguardia degli assetti idrogeologici, fonti energetiche rinnovabili, artigianato di riparazione e manutenzione dell’usato, cultura e altro ancora. Sono per lo più attività legate alla lotta contro i cambiamenti climatici che, quando, e se, se ne presenteranno le condizioni, possono essere trasferite da migranti di ritorno anche nei paesi di origine ed essere il motore di un riequilibrio ambientale ed economico di quei territori. Quarto: Un programma e dei progetti del genere non possono essere affidati né al mercato, dove ognuno si cerca un lavoro da sé, né solo a programmi governativi. Abbinando accoglienza e lavoro, inclusione e produzione, soltanto l’economia sociale e solidale è adatta a concepirli, promuoverli e gestirli; ovviamente con un massiccio sostegno dei poteri pubblici. Quinto: Le persone fuggite da guerre e disastri per lo più desiderano ritornare nei loro paesi se solo il degrado sociale e ambientale venisse invertito. Sono queste le premesse per la costituzione di una grande comunità euromediterranea. Immigrati e profughi costituiscono un grande potenziale da valorizzare sia nella definizione di una prospettiva politica di pacificazione dei paesi da cui sono fuggiti e di cui conoscono bene conflitti e dinamiche; sia nella progettazione del risanamento ambientale e sociale dei loro territori di origine grazie ai contatti che mantengono con le comunità che hanno lasciato, ma anche grazie alle professionalità e soprattutto alle relazioni che hanno acquisito in Europa. Sesto: Per questo le loro comunità possono e dovrebbero essere aiutate a organizzarsi per essere parti in causa in campagne per bloccare sia le guerre in corso nei loro paesi di origine, sia le forme più devastanti della presenza economica dell’Europa in quegli stessi territori. Settimo: Premessa obbligata è una battaglia culturale per riavvicinare le persone tra loro; è nello scambio culturale e nella ibridazione dei rispettivi apporti, ma soprattutto nella vicinanza alle loro sofferenze, che si possono creare le basi per la riconquista di una dimensione umana alla politica. Il rigetto che molti cittadini e cittadine europee manifestano verso profughi e migranti non è dovuto solo alla paura (di una loro propensione a delinquere o del terrorismo). Questa certo non manca, ma viene spesso usata a copertura del rifiuto di mescolarsi con persone e “culture” di cui si teme che possano mettere in forse abitudini e tradizioni a cui ci si sente legati. È questo timore del diverso che va affrontato, senza demonizzare o tacciare di razzismo (ben presente invece in chi lo promuove e lo sfrutta) chi ne è solo portatore o vittima. Farsi concittadini di chi era straniero: questo deve essere il nostro impegno.

 

* Sociologo e saggista, tra i suoi ultimi libri Rifondare l’Europa insieme a profughi e migranti (Nda Press). L’articolo di questa pagina è apparso anche su guidoviale.it e qui con il consenso dell’autore.

Lettera alla Soprintendenza

 

                                           Legambiente 

                                        Circolo di Corato 

                                      Angelo Vassallo

 

Spett.li Uffici Destinatari

Soprintendenza Archeologica Belle arti e Paesaggio Serv.III;

Soprintendenza Archeologica Belle arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Bari;

Segretariato Regionale per la Puglia;

e p.c . Alla Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio- Roma;

pubblicazione su: www.legambientecorato.it, Social Networks che fanno riferimento a Legambiente, circolo di Corato ed organi di informazione.

 

Oggetto: richiesta incontro situazione Piazza Di Vagno –Corato. Ultimo sollecito documentazione L. n. 241/1990. Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 "Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137".

 

La scrivente associazione ambientalista, in riferimento a quanto in oggetto, chiede alla S.V. formale e reiterata documentazione rilevata dal Vostro Ufficio in merito al sito in oggetto. Nonostante, abbiamo inviato la stessa istanza al ministero, al Vostro Ufficio, ed agli organi preposti, fino ad oggi non abbiamo ricevuto alcun riscontro o motivato diniego. Ricordiamo alle SS.LL., che l’associazione scrivente, diffusa a livello nazionale, legalmente e giuridicamente costituita, tutela gli interessi pubblici e diffusi, chiede, in base ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b, della stessa L. n. 241/1990, l’accesso agli atti ufficiali degli Uffici; inoltre, se è prevista o meno, l’attuazione del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 "Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137". Da quanto è a nostra conoscenza il Ministero, Vi ha sollecitato e siamo stati opportunamente informati per conoscenza, come da nota prot. 2185 del 17 febbraio u.s.

 

Pertanto, chiediamo contestualmente un incontro presso uno dei Vostri Uffici di Bari, un venerdì mattina in giorno ed orario da concordare entro due settimane dal ricevimento della suddetta missiva. In tale sede ed occasione, vorremmo ricevere informazioni e documentazione atte a valutare la situazione del suddetto sito in oggetto ed ogni relazione, report, rapporto anche grafico e/o fotografico, di cui siete in possesso, di cui vorremmo ricevere copia elettronica di tutta la documentazione senza ulteriori deroghe e senza oneri per la nostra associazione.

 

In caso, di ogni aggiuntivo silenzio e/o eventuale formale diniego, che dovrà essere formalmente giustificato, chiederemo agli organi preposti ogni motivazione facendo accertare ogni eventuale spiegazione e/ o responsabilità nei termini stabiliti dalla legge, chiedendo di far riscontrare le varie implicazioni ad ogni livello. La suddetta missiva è inviata per conoscenza agli organi superiori, che leggono in copia e dopo una settimana, sarà pubblicata sul sito internet dell’associazione www.legambientecorato.it ed inviata per conoscenza agli organi d’informazione ed ai Social Networks, che fanno riferimento alla nostra associazione, all’insegna della massima trasparenza delle attività del nostro sodalizio nell’interesse pubblico.

Corato,29/04/2017                    Giuseppe Soldano

                                            Presidente del Circolo

 

Legambiente- Circolo di Corato- Angelo Vassallo Via Niccolini,29 70033 Corato Siamo presenti su: www.legambientecorato.it , Facebook, Twitter e G+.

La missione di Legambiente a Corato

La missione di Legambiente a Corato

Trent’anni di attività nel campo socioambientale.

 

Da trent’anni Legambiente opera anche nella realtà cittadina locale di Corato. L’associazione ambientalista è nata per dare un’impronta ecologica nel contesto urbano in un’ottica, non solo di conservazione della biodiversità, ma della promozione delle buone pratiche come una nuova prospettiva ecologica delle interrelazioni tra: situazioni, problematiche e possibili soluzioni con un approccio e metodo scientifico. Nel corso del trentennio l’associazione ha visto un approccio amministrativo che ha cercato di curare il presente, senza avere una vera e propria vision di media e lunga durata. Nell’ orientamento urbanistico la città ha visto l’abbattimento nel corso di un quarantennio alcuni palazzi neoclassici nell’anello del corso cittadino e rendendo disomogenea l’area, in cui diverse zone tutt’oggi necessitano di interventi di ripristino, specie promuovendo lavori di ristrutturazione del patrimonio edilizio, secondo i canoni dell’efficienza energetica e tecnologica. Il verde pubblico manca di un regolamento che possa essere uno strumento di gestione, di strutturazione e di organizzazione anche in un sistema integrato all’interno e di continuazione con l’area parco dell’Alta Murgia. La città ha anche patrimonio protostorico come: il dolmen e le tombe di San Magno, dove è necessario creare un percorso turistico integrato, vista la posizione geografica della città come una “cerniera” tra l’entroterra e il mare tra l’area metropolitana di Bari e la provincia di Barletta Andria Trani. Su questi e su altri campi di azione socioambientale, il circolo di Legambiente Angelo Vassallo di Corato, non mancherà di dare il proprio contributo cercando di interagire con le istituzioni, cittadini, scuole e realtà sociali cercando, quando possibile, creare interazioni positive anche nel campo della comunicazione e dell’interazione ambientale come un volano per motivare i cittadini ed istituzioni verso stili di vita più sostenibili.

Lettera invito Ferrotramviaria

                                                           LEGAMBIENTE

                                                  CIRCOLO ANGELO VASSALLO

                                                              CORATO

 

 

Ferrotramviaria S.p.A.

Ferrovie del Nord Barese -

Autolinee Direzione Generale Trasporto Direzione Esercizio

Piazza A. Moro, 50/B

70122 BARI Tel. 080/5299111 - Fax 080/5235480

DIRETTORE TECNICO Ing. Bernardo Grilli

RESPONSABILE UNITA' TECNICA COMPLESSA Ing. Antonio Di Leo

RESPONSABILE UNITA' DIREZIONE LAVORI Ing. Alfredo Spitoni

RESPONSABILE SETTORE TECNICO-AMMINISTRATIVO Ing. Leonardo Nista

Via email / via PEC (eventuale) p.c. cittadinanza mediante sito www.legambientecorato.it .

 

Oggetto: richiesta di partecipazione ad incontro pubblico organizzato da Legambiente – Circolo Angelo Vassallo - Corato.

 

Egregi Ingegneri,

 

lo scontro ferroviario avvenuto lo scorso 12 luglio tra Andria e Corato, al km 51 della ferrovia Bari-Barletta, ha causato la morte di ventitrè persone e il ferimento di molti altri passeggeri. Si tratta del più grave disastro ferroviario mai avvenuto sul territorio pugliese che ha lasciato profonde ferite all’interno delle nostre comunità. Oltre a queste situazioni, il risultato è il disagio dei cittadini e dei pendolari: la tratta tra Andria e Corato è ancora sotto sequestro, i pendolari sono costretti a vivere ulteriori difficoltà per via del blocco della linea che va da Corato a Ruvo di Puglia per i lavori di raddoppio del binario unico, le opere in atto alla stazione di Corato, la situazione del Scmt (sistema di controllo marcia treno) di limitare la velocità dei treni a 50 chilometri all'ora, che unito a guasti tecnici, ritardi imprecisati, sovraffollamento che, si sta limitando, visti i continui e ripetuti disagi, mettono alla prova ogni giorno quei cittadini che utilizzano il treno per raggiungere il luogo di lavoro o studio. I bus sostitutivi dei treni stanno incrementando il traffico urbano con le evidente conseguenze. Ci risultano cittadini che si sono autorganizzati con un car pooling mediante i social network. Questa situazione è purtroppo in comune anche su altre linee ferroviarie in Italia. Infatti, nella campagna storica Pendolaria è di Legambiente ed è dedicata ai treni regionali e locali, al pendolarismo ed alla mobilità urbana, nata per contribuire a creare un trasporto ferroviario regionale e locale moderno, per città meno inquinate e più vivibili. Sono circa 3 i milioni di pendolari che ogni giorno si spostano in treno in Italia per raggiungere i posti di lavoro e di studio tra carrozze sovraffollate, degrado, ritardi. Anno per anno facciamo il punto sul trasporto pendolare nel nostro Paese, denunciando l’inadeguatezza del servizio, proponendo soluzioni concrete per un trasporto ferroviario regionale e locale moderno, al passo con l’Europa. Chiunque ha avuto la possibilità di viaggiare negli ultimi anni in una qualsiasi città europea ha avuto la possibilità di apprezzarne la qualità e l’efficienza del servizio ferroviario regionale, notando un costante miglioramento di questi servizi. Una ragione sta sicuramente nel vero ritardo infrastrutturale del nostro Paese che ha i suoi dati più rilevanti proprio nelle aree urbane. Legambiente è assolutissimamente favorevole al trasporto pubblico specialmente su ferro. Ricordiamo che la nostra associazione ha la finalità di tutelare gli interessi pubblici e diffusi, interessati a promuovere buone pratiche ed usi e costumi sostenibili. Pertanto, vorremmo facilitare e sostenere un dialogo costruttivo affinché siano chiare le problematiche, le difficoltà e le soluzioni. Perciò, vorremmo organizzare un evento pubblico, aperto alla popolazione ed alle istituzioni perché i cittadini abbiano più informazioni e più chiarezza. Saremmo lieti, in ogni caso, in un cenno di riscontro e di eventuale disponibilità. La suddetta missiva è contestualmente pubblicata sul sito www.legambientecorato.it per la massima trasparenza e per informare i cittadini delle azioni intraprese dal nostro Circolo.

Corato,27/02/2017 Distinti saluti Pino Soldano Presidente del Circolo Legambiente-

 

Circolo Angelo Vassallo – Via Niccolini,29 Corato www.legambientecorato.it email. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. siamo presenti su Facebook, Twitter e G+.

Educazione ambientale: dopo l'annuncio tutto tace

Educazione ambientale: dopo l'annuncio tutto tace...

Era stata individuata come una nuova disciplina o educazione nel curricolo scolastico, ma dopo un anno dall'annuncio non si sa ancora nulla. Il nostro circolo lavora operativamente con alcune scuole del territorio.

 

Molto spesso gli annunci servono per creare attese o per vedere le reazioni della popolazione in base all’ effetto della dichiarazione. Parliamo dell’educazione ambientale, finora considerata tra le educazioni e didatticamente non come una disciplina curriculare tout court. Per il documento della Comunità Europea – l’agenzia EPAL, di settembre di quest’anno, spiega il senso e il significato della parola composta.” La prima è la componente educativa, la quale ci dà gli strumenti di comunicazione con le comunità, che ci permette di trasformare linguaggi scientifici in linguaggi semplici che possano essere appropriati e compresi dai differenti gruppi sociali, la seconda la componente ambientale cerca di ricostruire queste relazioni create dall'uomo con la natura, però attraverso parametri culturali. Possiamo dire che l'Educazione ambientale è stata concepita come una strategia per offrire nuove modalità capaci di generare nelle persone e nelle società umane cambi significativi di comportamento e di riassegnare una nuova importanza a valori culturali, sociali, politici, economici e relativi alla natura. Al tempo stesso, cerca di facilitare i meccanismi di acquisizione delle abilità intellettuali e fisiche, promuovendo la partecipazione attiva e decisa degli individui in maniera permanente; riflettendosi in un miglior intervento umano per l'ambiente e di conseguenza una adeguata qualità di vita. Con questa concezione, negli ultimi decenni, si è riposta fiducia nel processo educativo per contribuire alla risposta di problemi ambientali. L’educazione ambientale abbraccia tematiche e problemi reali, con i quali le nuove generazioni si confrontano.” Pertanto, è in questo ambito che insegnanti che utilizzano metodologie didattiche partecipative, che possono rendere coerente il contenuto educativo – lo Sviluppo Sostenibile – con il processo educativo – del Cooperative Learning. I temi affrontati nella disciplina o educazione nel curricolo formativo nazionale sarebbero la tutela del territorio e del mare, il riciclo dei rifiuti, la biodiversità e l'alimentazione sostenibile. All’inizio, i temi ambientali sarebbero trattati nelle ore d’insegnamento di altre materie come: geografia, scienza e arte, fino a quando non verrebbe istituita come materia strutturale o educazione del percorso scolastico. Non è chiaro con quale titolo di studio, di accesso e/o specializzazione si potrebbe insegnare questa disciplina o mediante riconversione culturale o aggiornamento formativo. Secondo il ministero dell’Ambiente, si tratta di “uno strumento fondamentale per sensibilizzare i cittadini e le comunità ad una maggiore responsabilità e attenzione alle questioni ambientali e al buon governo del territorio”. Per questo il ministero avrebbe compilato delle linee guida che potranno essere seguite in tutte le scuole. La notizia anticipata all’inizio dello scorso anno, da alcuni Media Nazionali che preannunciavano l’annuncio del sottosegretario all’Ambiente Barbara Degani insieme al dicastero dell’Istruzione erano in procinto di promuovere delle Linee Guida Nazionali per le scuole di ogni ordine e grado. Secondo le indiscrezioni sarebbero dieci temi-base proposti a seconda del livello scolastico, dunque età e grado di preparazione. Il documento del progetto sarebbero pronte e sarebbero contenute in un faldone di circa 150 pagine. Non è certo l’approccio: disciplina a sé o educazione trasversale nelle varie materie, differenziato per ordine scolastico. Non è certo l’inizio di questo percorso formativo per i cittadini del futuro, anche se non è stato inserito, per i docenti in servizio, tra le rilevanze formative, nel percorso di aggiornamento, almeno secondo le priorità indicate nel Piano definisce con chiarezza gli obiettivi per il prossimo triennio. Per la prima volta, sono previste nove priorità tematiche nazionali per la formazione: Lingue straniere; Competenze digitali e nuovi ambienti per l’apprendimento; Scuola e lavoro; Autonomia didattica e organizzativa; Valutazione e miglioramento; Didattica per competenze e innovazione metodologica; Integrazione, competenze di cittadinanza e cittadinanza globale; Inclusione e disabilità; Coesione sociale e prevenzione del disagio giovanile, quindi, l’educazione ambientale non c’è, e non risulta come necessità, come un obiettivo per la formazione dei docenti.

Il circolo Legambiente di Corato aveva positivamente accolto il provvedimento annunciato e il nostro commento era stato di stare attenti a come poteva essere effettuata con il rischio di revisionismo, come, ad esempio, di non ammettere le problematiche legate alla questione climatica, allo smaltimento sostenibile dei rifiuti, mediante la raccolta differenziata ed alle ecomafie, per citare solo alcuni macrotemi ambientali. E’ vero: diverse scuole in Italia fanno progetti ed attività didattiche per promuovere l’educazione ambientale e nel nostro piccolo, come associazione ambientalista proprio mediante le varie campagne di sensibilizzazione come: Puliamo il Mondo, o Festa dell’albero nella nostra realtà cittadina, promuoviamo la costruzione di una cultura e di una sensibilità nei confronti delle nuove generazioni. Non solo lo scorso anno scolastico nel percorso formativo di Alternanza-Scuola Lavoro 2015/16, siamo stati tra i primi circoli, in Italia, ad attuare un percorso formativo con l’Istituto Superiore Oriani Tandoi della nostra città senza alcun onere economico. Lo sviluppo e l’articolazione sono indicati, nel comma 34, ha esteso i luoghi dove operare l’alternanza scuola-lavoro:” sono stati allargati a tutto il terzo settore, nonché con enti che svolgono attività afferenti al patrimonio ambientale…”, non solo, nel comma 37, della legge n. 107/2015 l’utilizzo delle risorse socioeconomiche delle varie realtà cittadine, anche per fini orientativi degli stessi studenti. I ragazzi sono stati seguiti e aiutati dal tutor di Legambiente Faretra Giuseppe e dalla docente del Liceo Classico Tarantini Concetta, facendo elaborare un dossier a tre studenti dell’Istituto stesso.

E’ sicuramente necessario incrementare un’educazione ambientale, perché lo potremmo riscontrare a cascata: la carenza delle scelte sostenibili tra i cittadini nelle attività quotidiane come, per esempio, la situazione della mobilità urbana, le istituzioni che puntano all’ambientalismo come forma di consenso, creando attività che possano mostrare pubblicamente la parte ambientale e non nelle prassi quotidiane, praticando il greenwashing, ovvero la strategia di comunicazione di certe organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività, nonché agli effluvi commenti in Rete e sui Social Networks di cui Umberto Eco diceva che: “permettono alle persone di restare in contatto tra loro, ma danno anche diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano al bar dopo un bicchiere di vino e ora hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”.

 

Purtroppo, spesso si distorce il senso e il valore dell’ecologia come salvaguardia della casa comune e per la promozione di una costruzione di una comune consapevolezza. Di questo ci siamo resi conto di tanti ambientalisti, in questi anni, “fai da te “o “le faccio per me” che sono, talvolta, soggetti alla sindrome di Nimby: non nel mio cortile (acronimo inglese per Not In My Back Yard). Questo approccio consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere ma, contemporaneamente, nel non volerli nel proprio territorio a causa delle eventuali controindicazioni sull'ambiente locale. Il nostro bene comune è l’ambiente. Lo studio, l’analisi e la consapevolezza sono necessari per sviluppare una nuova coscienza partecipativa ambientale.

 

 

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