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‘Siamo tutti l’Italia’ scrivono i 17 rifugiati sudanesi di Niamey

‘Siamo tutti l’Italia’ scrivono i 17 rifugiati sudanesi di Niamey

L’hanno scritto su una lettera indirizzata all’Ufficio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati di Niamey. Gli autori sono i 17 sudanesi che, dal ‘sit- in’ davanti alla sede onusiana, sono stati trasferiti ed accolti nel campo per rifugiati in attesa di partire di Hamdallaye, nei pressi della capitale Niamey. La missiva, consegnata a mano, contiene tra l’altro il seguente messaggio…’ Siamo uniti alla grande famiglia italiana e condividiamo il dolore di chi, tra voi, ha perduto un essere caro a causa di questa dolorosa epidemia. Domandiamo a Dio di portare i votri defunti nelle loro case benedette perchè possano riposare in pace. Auguriamo una pronta guarigione ai convalescenti e preghiamo perché siano liberati questo flagello. Siamo tutti insieme, nel bene e nel male, cioè siamo tutti l’Italia. Firmato il Comitato Sudanese dei 17 trasferiti al campo di Hamdallaye’. C’è chi si è sentito americano per qualche giorno nel 2001, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, chi s’è sentito francese dopo l’attacco a Charli Hebdo e al Bataclan, spagnolo dopo l’attacco di Madrid e Inglese per qualche ora dopo l’attacco di Londra. Nessuno si è mai sentito sudanese, nigerino, avoriano, liberiano, congolese o semplicemente algerino. Eppure ognuno di questi Paesi ha vissuto, assieme a tanti altri, guerre, epidemie, spogliazioni di risorse, sfruttamento endemico della povertà, mercato di armi e di mercenari, laboratorio per gli esperimenti di normalizzazione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Eppure ci sono state carestie, lotte per le indipendenze, primavere ribelli e rivoluzioni fallite con la complicità degli antichi maestri coloni. Nessuno si è mai sentito africano, finora. Come se tutta la realtà fosse ormai confinata da una grande messa in scena mediatica. Come se la storia si fosse fermata il giorno nel quale i decreti governativi, in funzione dell’epidemia, hanno cominciato ad essere applicati, con la forza se necessario. Come se le quotidiane contabilità legate alla proliferazione del numero degli ammalati facesse di colpo dimenticare la vita che, con noncurante ostinazione, continua il suo cammino abituale. Come se la perdita delle proporzioni, resa ancora più evidente dal neoliberalismo mercantile, avesse fatto dimenticare il fragile destino umano che la morte da sempre attraversa. Come se la pandemia, figlia del pensiero unico, avesse la pretesa di assumere la distanza sociale, facendo passare in secondo piano le distanze sociale di classi e di popolazioni, da tempo immemorabile ‘confinate’ nella miseria. Solo che, come si suol dire, la realtà è ostinata e allora filtrano notizie che per loro natura non lasciano nessuna traccia. Che qualche giorno fa siano stati trovati e poi salvati oltre 250 migranti abbandonati nel deserto non farà sobbalzare neppure il più militante dei giornalisti. Che ci siano almeno due mila persone in attesa nei campi del’Oim, l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, rasenta la banalità. Che i campi di eliminazione progressiva e silente in Libia, sullo sfondo di una guerra per procura come in Siria, lascia l’indifferenza installarsi senza rimorso. Che si rimandino al mittente libico le barche di coloro che tentano di sfuggire all’infero è non solo giustificato ma anche consigliato vista la situazione dell’Europa. Che il Programma Alimentare Mondiale abbia messo in guardia contro une possibile carenza alimentare di circa 5 milioni di persone nel Sahel non lascia traccia alcuna nell’immaginario umanitario del comune cittadino. Siamo umani e questo dovrebbe bastare a condizione di riconoscere a tutti la stessa dignità, cominciando dai poveri, che fino ad oggi sparivano senza nessun contabile e quotidiano aggiornamento in tempo reale. Basta cliccare e, in alcuni siti, si possono apprezzare il numero di contagi, di guarigioni, di decessi e di posti in rianimazione. Per le morti ‘bianche’, quelle sul lavoro, non esiste nulla di simile, eppure si tratta di un cantiere che continua a produrre decessi. Nel 2000, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, i morti nel mondo sono stati stimati a due milioni. Nel 2017 si calcola che ogni 15 secondi c’è un morto sul lavoro e dunque 2 milioni e 780 mila deceduti l’anno. Le morti ‘bianche’, perché invisibili ai più, passano clandestine perché à morire, in genere, sono i poveri. Siamo tutti lavoratori, siamo tutti umani. Più nulla sarà come prima, se saremo tutti sudanesi.

Mauro Armanino, Niamey, 5 aprile 2020

Il secondo Natale di Pierluigi sommerso nel Sahel

Il secondo Natale di Pierluigi sommerso nel Sahel

Non avrebbe dovuto restare così a lungo. Non doveva fidarsi in questo modo della gente. Mai e poi mai avrebbe dovuto dire che lì aveva trovato il suo posto. Non doveva confessare apertamente che in una missione come quella si doveva ‘durare a lungo ’. Non doveva fino a quel punto sfidare la sorte sapendo che nella zona già si erano installati gruppi armati. Non doveva credere di essere al sicuro come in nessun altro luogo al mondo. Non avrebbe dovuto farsi in quattro per invitare i contadini alla dignità che solo appartiene ai poveri. Non doveva prendere così in serio il vangelo scritto sulla sabbia del Sahel. Pierluigi lasciava la porta della sua camera aperta fino a tardi. L’ampio cortile della missione che costeggia la strada in terra battuta è a tuttora delimitato da una rete metallica. L’ingresso alle abitazioni era facilitato da un’entrata a spinta con un copertone per attutire la forza della molla che aiutava la chiusura. Dall’altra parte della strada, c’è il cortile con la casa per la famiglia del catechista, aule per le formazioni degli animatori e soprattutto la nuova chiesa da lui pazientemente concepita e costruita. Dedicata allo Spirito Santo è provvista di sette aperture, simbolo dei doni dello Spirito, tradotti e interpretati nella lingua locale che si sforzava di approfondire sempre più. L’ottavo dono, che lo pedinava sempre, era quello della pace. Neppure il Cristo avrebbe dovuto restare così a lungo. Non doveva fidarsi in questo modo della gente. Mai e poi mai avrebbe dovuto dire che tra noi aveva trovato il suo posto. Non doveva confessare apertamente che una missione come la sua era concepita per restare ‘per sempre’. Non doveva fino a quel punto sfidare la sorte sapendo che i poteri del palazzo avevano deciso di liquidarlo. Non doveva credere di essere sempre e dovunque al sicuro e in buone mani. Non avrebbe dovuto farsi in quattro per ridare la dignità riservata ai poveri. Non doveva prendere così sul serio il vangelo fino a posarlo in una mangiatoia. L’anno portato via, li hanno portati via entrambi, il 17 di settembre dell’anno scorso. Passeranno insieme il secondo Natale nel Sahel, uno tra i pastori e l’altro tra i rapitori. Le stelle brillano per entrambi e i contadini intoneranno per i due un canto di gloria. Canteranno insieme agli animali della zona, ai re distratti dal potere, ai giovani asserviti al terrore, ai bambini senza scuola e alle donne che danno alla luce il mondo. Pace sulla sabbia, scriveranno insieme, appena passata la mezzanotte, per coloro che l’hanno perduta.

Mauro Armanino, Niamey, natale 2019

Quando l’Emmanuele arriva nel Sahel

Quando l’Emmanuele arriva nel Sahel

Si tratta, naturalmente, di Emmanuel Macron, presidente della repubblica francese. Appena sbarcato ad Abidjan, in Costa d’Avorio, ha raggiunto il campo militare francese di Port Bouet, poco lontano dall’aeroporto internazionale. Si tratta del secondo contingente francese più numeroso dopo quello basato a Gibuti, nel corno dell’Africa. Un Natale strategico, quello di Macron che, accompagnato dalla ministra della difesa Florence Parly, ha scelto di celebrare il veglione natalizio anticipato con i militari. Un Natale per così dire ‘militarizzato’, che bene corrisponde a quanto nel Sahel si è andato sviluppando in questi ultimi anni, specie dalla distruzione della Libia in poi, nel lontano 2011. Dalla Costa d’Avorio l’Emmanuele passerà per tre ore a Niamey, nel Niger, ufficialmente per rendere omaggio ai 71 militari recentemente uccisi dall’attacco rivendicato dallo Stato Islamico dell’Africa Occidentale, ad Inatès. Pura coincidenza di date, i militari francesi dell’operazione Barhkane, che opera in un’area grande quanto l’Europa, hanno effettuato, in questi giorni, il primo tiro test di drone armato, di fabbricazione Usa. Dopo l’Algeria e dunque il deserto del Sahara negli anni sessanta col generale De Gaulle, adesso è la volta del Sahel ad essere la sede delle prime esperienze di droni armati francesi col presidente Macron. I deserti sono dunque diventati, e non da oggi, luoghi privilegiati di addestramento, sperimentazione e messa in pratica di armi letali. Come sempre in questi casi, anche per i droni armati vengono date le più ampie garanzie di sicurezza e di un uso conforme alle norme internazionali delle guerre. Questo principio è ben ricordato dal colonnello Hugues Pointfer, comandante della base aerea dell’operazione basata a Niamey. ‘Il drone, è un aereo con la piccola differenza che il pilota dell’aereo non si trova nel drone ma in un ufficio al suolo. Il drone non prende da solo nessuna decisione, non tira da solo, non fa nulla in modo autonomo, sono gli umani che, da lontano, prendono le decisioni che guidano le armi. Per il pilota tutto è trasparente, trovarsi a un chilometro o a mille, l’immagine è la stessa, e così pure la reattività e il funzionamento: tutto è lo stesso’. Nei deserti si fanno esperimenti a carattere militare con l’obiettivo di riprodurre altrove. Da deserto a deserto, da armi ad armi e da natale a Natale. C’è, com’è noto, natale e Natale. Quello che si vive e celebra nel Sahel, da parte di una minoranza cristiana, e degli altri cittadini per riflesso, è un Natale di sabbia. Un Natale disarmato e per così dire assai fedele all’originale della Palestina dell’epoca. A dire il vero è disarmato per così dire perché, come da qualche anno a questa parte, i luoghi di culto vedranno, per la festa, i militari governativi armati bivaccare accanto ai cortili. Le luci, nel Natale di sabbia, sono del tutto inesistenti e solo si spera che la compagnia nazionale di erogazione dell’elettricità, meglio conosciuta come NIGELEC, confermi la tregua nei tagli repentini e talvolta prolungati di energia. Un Natale fragile se ce n’è e, proprio come all’inizio, preso in ostaggio da oltre un anno attraverso il rapimento di decine di persone tra le quali alcuni chiamati a guidare le celebrazioni delle comunità. Anche allora c’erano le armi, i potenti e gli eserciti di occupazione e come allora la stessa violenza che si nutre di interessi, ipocrisie e violenza come stile di governo. Un Natale che la sabbia ha contribuito a rendere vulnerabile e marginale, un giorno riconosciuto festivo dal calendario del Paese ma feriale nella sua attuazione popolare. L’Emmanuele è arrivato nel Sahel. L’uno per un natale militarizzato e diplomatico, l’Altro invece, come un clandestino dichiarato illegale, perché trovato senza documenti. Arriva senza annunciarsi e senza una fissa dimora. E’ venuto per destabilizzare imperi, armate regolari e irregolari, assetti finanziari, politiche di sviluppo compatibile, imprese umanitarie unite, strategie di penetrazione commerciale, sfruttamento delle risorse e inquinamento delle falde acquifere. L’altro Natale, quello vero perché messo insieme da grani di sabbia, è piccolo, indifeso e libero di scivolare tra le dita della pace.

 

Mauro Armanino, Niamey, Natale 2019

Rimandata manifestazione Festa dell'albero su viale Arno

Rimandata manifestazione Festa dell'albero su viale Arno E' stata rimandata a sabato 21 dicembre la manifestazione Festa dell'albero su viale Arno nello stesso orario per instabilità meteorologica. Vi aspettiamo.....

IL coraggio di Legambiente

Il coraggio di Legambiente

Il circolo di Corato presente al congresso nazionale a Napoli.

Si è tenuto a Napoli XI CONGRESSO NAZIONALE DI LEGAMBIENTE sul tema:” “Il Tempo del coraggio”,lo scorso fine settimana. Una delegazione di rappresentanti del nostro circolo con a capo la presidente Nadia Saltarelli, Pino Soldano e Giuseppe Faretra hanno partecipato ai lavori. Molti i temi affrontati nella tre giorni legambientini nella suggestiva cornice del Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa. Ecologia, giustizia, sostenibilità lotte alle disuguaglianze e alla legalità, buone pratiche, esperienze e prospettive con ospiti di riguardo: il presidente di Libera Don Luigi Ciotti, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, il sottosegretario all’Ambiente Roberto Morassut, Marco Omizzolo, intervenuti solo nella mattinata della domenica. Nella giornata di domenica 24 novembre, Legambiente ha anche eletto le sue cariche nazionali, tutte riconfermate alla guida dell’associazione: Stefano Ciafani, presidente nazionale, e Giorgio Zampetti, direttore generale, e Nunzio Cirino Croccia, amministratore. Al loro fianco, Edoardo Zanchini e Vanessa Pallucchi, vicepresidenti nazionale, e Serena Carpentieri, vicedirettrice. Il coraggio di Legambiente è nell’accettare le sfide dei cambiamenti climatici in atto che si contrappongono a nuovi stili di vita e a buone pratiche sparse in tutto lo stivale. E’ necessario aprirsi ad avere coraggio in questo tempo di fare proposte anche scomode che mettono in gioco anche gli stili di vita ed economici in atto: è necessario attivare una nuova economica circolare che abbia una ricaduta sociale, economica ed ambientale. Un nuovo progresso è possibile con un approccio ecologico integrato. Dobbiamo metterci in discussione e rivedere molti comportamenti. Il circolo di Corato è da trent’anni in attività per proporre questo sistema culturale nel contesto cittadino. Presente al congresso nazionale Francesco Tarantini, presidente Legambiente Puglia e di diversi circoli pugliesi.

Sulla pagina Facebook legambientecorato una striscia di alcune foto di alcuni momenti.

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