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Luisa Piccarreta

Luisa Piccarreta, nel corso della sua vita schiva e riservata, non ha potuto nascondere i fenomeni straordinari che s' incrementavano intorno a lei. Eppure, è stata per sessanta anni in un letto , con sofferenze fisiche , morali e spirituali, con la guida di diversi qualificati uomini di Chiesa come San  P. Annibale Maria Di  Francia, fondatore dei Padri Rogazionisti, delle Figlie del Divino Zelo e da San Pio da Pietralcina.

Ha vissuto nella sua casa, sita a Corato in Via Nazario Sauro, mettendo per iscritto tutto ciò che il Signore le andava rivelando sin dal 1899, sotto la guida di don Gennaro Di Gennaro, confessore nominato dal vescovo dell' epoca Monsignor Tommaso De Stefano.

Luisa Piccarreta non era una "teologa", ma una mistica. Era un'illetterata, alla stregua di Caterina da Siena, quindi, la produzione letteraria composta da trentasei volumi, compilati in quaranta anni di relazione mistica con Cristo, nei quali si può certamente comprendere l' azione di Dio in lei.

"Luisa la santa", così, era soprannominata dal popolo, è stata la grande messaggera della Volontà di Dio (il suo motto, infatti, era: "In Voluntate Deo: Deo gratias ") e la sua grandezza è stata nel fatto che non si è mai ribellata a questa volontà, specie quando l'ha voluta crocifissa in un letto ed anche da forti prove morali e spirituali, vivendo con Cristo, fino in fondo la Volontà del Padre.

L' impegno attuale per favorire la causa di beatificazione della Serva di Dio è di tutta la Comunità, consiste nella preparazione della "edizione tipica" dei diari e di tutti gli scritti, editi ed inediti per poter meglio valutare la ricchezza e lo spessore spirituale di Luisa Piccarreta. Precedentemente, San  Annibale Maria Di Francia aveva esaminato diciannove libri della mistica coratina, ma, da allora, non si è avuta più la possibilità di approfondire gli aspetti mistico–teologici.

Pertanto, è stata creata un' équipe internazionale di sacerdoti, teologi e laici per uno studio approfondito della spiritualità della Divina Volontà, ma anche con il difficile compito di risolvere le questioni delle traduzioni nelle principali lingue.

Nuova Disciplina Inceneritori

 
Nuova Disciplina Inceneritori
 
L’incenerimento dei rifiuti costituisce senza dubbio uno dei temi di maggiore complessità
 

NUOVA DISCIPLINA AUTORIZZATORIA DEGLI IMPIANTI DI INCENERIMENTO DEI RIFIUTI

 

SOMMARIO: 1. Premessa: l’inquadramento del tema. - 2. Distinzioni tra le tipologie di impianti: le nozioni di “incenerimento” e “coincenerimento”. - 3. Il procedimento relativo ai nuovi impianti; caratteri generali dell’autorizzazione. – 4. (segue). Il caso di impianti soggetti alla normativa IPPC e i rapporti con il procedimento di VIA - 5. Gli impianti non rientranti nell’ambito di applicazione della normativa IPPC. - 6. Il regime transitorio applicabile agli impianti esistenti. – 7. (segue). Gli impianti di incenerimento soggetti a procedure semplificate; in particolare il problema della c.d. VIA “postuma”.

 

 

 

  1. Premessa: l’inquadramento del tema.

 

L’incenerimento dei rifiuti costituisce – nell’ambito della normativa ambientale – senza dubbio uno dei temi di maggiore complessità; in particolare la realizzazione e gestione degli impianti comporta necessariamente la valutazione e quindi il coordinamento e la ponderazione di diversi interessi ambientali.

Questi ineriscono non solo – com’è evidente - la gestione dei rifiuti (sotto il profilo dello smaltimento e del recupero) ma anche altri ambiti settoriali ambientali quali la tutela della qualità dell’aria e delle acque nonché la valutazione di impatto ambientale[1].

Inoltre va considerato che si tratta di impianti astrattamente in grado di produrre energia rinnovabile e quindi – per tale ragione - la loro realizzazione fruisce in tal senso di incentivi anche sul piano delle procedure amministrative[2].

Si tratta quindi di un tema che presenta notevole problematicità anche sul piano dell’approccio giuridico, del resto non vi è dubbio che una delle difficoltà di fondo della legislazione ambientale è proprio quella che deriva dalla complessità strutturale dell’ambiente come oggetto di tutela[3] e il caso degli inceneritori ne costituisce un esempio emblematico.

Di conseguenza sul piano del regime amministrativo degli impianti (in particolare quello autorizzatorio) si pone la necessità di individuare un opportuno coordinamento tra le diverse discipline di settore ambientali, le quali, come ha tra l’altro più volte avuto modo di osservare la giurisprudenza, nel caso della realizzazione degli impianti di incenerimento non si “assorbono” ma in linea di principio si integrano e completano vicendevolmente[4].

Sotto questo profilo, il recente d.lgs. 11 maggio 2005 n. 133 di “attuazione della direttiva 2000/76/CE in materia incenerimento dei rifiuti”[5], al di là delle specifiche problematiche che solleva (alcune delle quali si avranno modo di affrontare nel presente scritto), ha senz’altro il merito di tentare di disciplinare in modo organico la realizzazione di tutti gli impianti (sia di incenerimento che di coincenerimento)[6] nonché le diverse fasi dell’attività di incenerimento a partire dal momento della ricezione dei rifiuti dell’impianto fino allo smaltimento delle sostanze residue.

Ciò allo scopo di dare maggiore chiarezza alla normativa e quindi in ultima analisi di facilitarne l’osservanza[7].

 

2. Distinzioni tra le tipologie di impianti: le nozioni di “incenerimento” e “coincenerimento”.

 

In relazione al regime autorizzatorio degli impianti sono due le distinzioni di fondo operate dal legislatore che sono basilari per una corretta ricostruzione dell’istituto: quella concernente la natura dell’attività svolta (“incenerimento” o “coincenerimento”) e quella relativa alla tipologia di impianto nel quale viene svolta l’attività (“nuovo” o “esistente”).

Riguardo alla prima distinzione mentre l’art. 2, comma 1°, lett. d), del d.lgs. n. 133 del 2005 definisce genericamente l’impianto di incenerimento: «qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico dei rifiuti, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione», la successiva lett. e), considera impianto di coincenerimento “qualsiasi impianto, fisso o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizzano i rifiuti come combustibile normale o accessorio o in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento”.

Peraltro, in quest’ultimo caso, com’è del tutto ovvio, “se il coincenerimento avviene in modo che la funzione dell’impianto non consiste nella produzione di energia o di materiali, bensi’ nel trattamento termico ai fini dello smaltimento dei rifiuti, l’impianto è considerato un impianto di incenerimento ai sensi della lettera d)”.

Per individuare le ipotesi in cui si è in presenza di un impianto di coincenerimento (e non di mero incenerimento) occorrerà quindi in via prioritaria individuare se la produzione di energia o di materiali costituisce la “funzione principale” dell’impianto.

Tale situazione, secondo quanto ha stabilito dalla Corte di Giustizia[8], si ha in presenza di tre condizioni: 1) l’obiettivo principale deve essere costituito dalla produzione di energia; 2) l’energia generata dalla combustione dei rifiuti e recuperata deve essere superiore a quella consumata durante il processo di combustione e una parte dell’eccedenza deve essere effettivamente utilizzata (ciò può avvenire immediatamente in forma di calore prodotto dall’incenerimento o, in seguito a trasformazione, in forma di elettricità); 3) la maggior parte dei rifiuti deve essere consumata durante l’operazione e la maggior parte dell’energia sviluppata deve essere recuperata o utilizzata.

Si tratta quindi di criteri basati sui caratteri essenzialmente funzionali dell’impianto; del resto, ha precisato la stessa Corte[9], criteri più “formalistici” quali il potere calorifico dei rifiuti, la percentuale delle sostanza nocive provenienti dai rifiuti inceneriti o il fatto che rifiuti possano o meno essere mescolati non possono essere presi in considerazione a tal fine.

 

3. Il procedimento relativo ai nuovi impianti; caratteri generali dell’autorizzazione.

 

Come si è detto la seconda fondamentale distinzione attiene alla tipologia di impianto (“nuovo” o “esistente”). In particolare il regime autorizzatorio per i nuovi impianti[10] previsto dal d.lgs. n. 133 del 2005 è contenuto, in via principale, negli articoli 4 e 5 riguardanti, rispettivamente, la realizzazione e gestione degli impianti di incenerimento e di coincenerimento.

Il principio di base sul quale si regge l’intera disciplina autorizzatoria è quello che è stato definito dalla dottrina del “consenso amministrativo preliminare”[11] (applicazione a sua volta del più ampio principio di prevenzione di cui all’art. 174 del Trattato UE), secondo il quale per tutti i progetti di attività o di impianti che possano avere una influenza importante sull’ambiente il soggetto interessato deve presentare all’autorità competente una dettagliata richiesta per ottenere un atto di consenso preliminare ed esplicito.

La stessa Corte di Giustizia, tra l’altro, com’è noto, in una importante decisione[12], ha osservato che “il rifiuto, la concessione o la revoca delle autorizzazioni devono risultare da un provvedimento esplicito e seguire regole procedurali precise, nelle quali venga rispettato un determinato numero di condizioni necessarie, dalle quali sorgono diritti e obblighi in capo ai singoli. Ne consegue che un’autorizzazione tacita non può considerarsi compatibile con le prescrizioni della direttiva, tanto più che una siffatta autorizzazione non consente la realizzazione di indagini preliminari, né di indagini successive e di controlli”.

Del resto le affermazioni della Corte trovano conferma nell’art. 2, comma 1°, lett. p), del medesimo d.lgs. il quale definisce il termine “autorizzazione” come “la decisione o più decisioni scritte da parte dell’autorità competente che autorizzano l’esercizio dell’impianto a determinate condizioni, che devono garantire che l’impianto sia conforme ai requisiti del presente decreto”.

Tutti i nuovi impianti quindi, per poter essere realizzati, devono necessariamente essere autorizzati attraverso uno o più provvedimenti amministrativi scritti, viceversa la tipologia dei provvedimenti da richiedersi necessariamente dipende a seconda della natura e/o delle dimensioni dell’impianto stesso.

 

4. (segue). Il caso di impianti soggetti alla normativa IPPC e i rapporti con il procedimento di VIA.

 

Nell’ipotesi in cui l’impianto di in/coincenerimento sia assoggettato alla normativa IPPC di cui al d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 (par. 5.1, 5.2 e 5.3 dell’allegato I di quest’ultimo decreto)[13] dovrà necessariamente richiedersi l’autorizzazione integrata ambientale (AIA) di cui all’art. 7 dello stesso d.lgs. n. 59 del 2005.

Quest’ultima – com’è noto - produce un effetto sostitutivo rispetto alle altre autorizzazioni ambientali (art. 5, comma 14°) tra le quali in particolare - ai fini della presente trattazione - rilevano quelle relative alla realizzazione ed esercizio degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti (art. 27 ss. d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), delle emissioni in atmosfera (d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203) e degli scarichi idrici (d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152)[14].

Si tratta peraltro di un effetto sostitutivo parziale in quanto il suddetto effetto non si produce rispetto ad altri provvedimenti autorizzatori quali quello concernente la normativa sui rischi di incidente rilevanti (d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334), l’emissione dai gas ad “effetto serra” (direttiva 2003/87/CE e relativi provvedimenti di attuazione) e soprattutto la valutazione di impatto ambientale (direttive 85/337/CEE e 97/11/CE e relativi provvedimenti di attuazione), che - se previsti dalle specifiche normative di riferimento - dovranno essere comunque richiesti in aggiunta all’AIA

In particolare con riferimento ai rapporti tra i procedimenti di VIA e IPPC la scelta del legislatore statale non si è orientata nel senso di seguire la tecnica della c.d. “joint implementation” (caratterizzata dalla unificazione e dall’assorbimento delle procedure) ma piuttosto di favorire quella della applicazione cumulativa tendente al coordinamento delle stesse[15].

Infatti nel d.lgs. n. 59 del 2005 la VIA è configurata come procedimento che necessariamente precede l’IPPC; da un lato i termini per la conclusione del procedimento rimangono sospesi fino alla conclusione del procedimento di VIA, dall’altro l’AIA “non può essere comunque rilasciata prima della conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale” (art. 5, comma 12°).

E’ quindi evidente che i due procedimenti si pongono in un rapporto di coordinamento e in posizione cronologicamente differenziata, nel senso che l’IPPC è comunque preceduta (e condizionata) dalla VIA.

Si tratta quindi di un rapporto di presupposizione in quanto l’IPPC presuppone il previo espletamento (positivo) della VIA, senza la quale non può essere conclusa.

La scelta operata dal legislatore, sotto questo aspetto, pare opportuna soprattutto considerata la diversa natura dei giudizi che si pongono alla base delle due valutazioni. Mentre infatti l’IPPC nasce da una esigenza di semplificazione e di coordinamento tra le diverse procedure concernenti le diverse forme di inquinamento ambientali, viceversa la VIA ha carattere più complesso nel senso che ricostruisce l’ambiente come “ambiente di vita dell’uomo” nel quale sono presenti sia profili strettamente naturalistici che inerenti l’uomo e la collettività (come “i beni materiali e il patrimonio culturale”)[16].

Del resto anche la legge delega ambientale (l. 15 dicembre 2004, n. 308), pur rimanendo su un piano di estrema genericità, prevede proprio la necessità di che siano adottate “misure di coordinamento tra le procedure di VIA e quelle di IPPC nel caso di impianti sottoposti ad entrambe le procedure, ad fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni” (art. 1, comma 9°, lett. f)[17].

In ogni caso va detto che la scelta di un determinato sistema di semplificazione procedimentale piuttosto che di un altro viene demandata alla valutazione discrezionale dei singoli Stati membri, in quanto l’art. 2 par. 2 bis della direttiva 85/337/CEE (inserito con l’art. 1 della direttiva 97/11/CE) dispone che gli Stati membri possano (e non debbano) prevedere una procedura unica per soddisfare i requisiti di quest’ultima direttiva e di quella 96/61/CE.

In questo senso soluzioni diverse emergono dalla legislazione regionale; ad esempio la l.r. Emilia Romagna 11 ottobre 2004, n. 21 stabilisce che “nel caso in cui il progetto di un nuovo impianto sia assoggettato alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) . . . la procedura di VIA ricomprende e sostituisce la autorizzazione integrata ambientale . .”.

Di conseguenza, pur se nell’ambito dei principi di semplificazione enunciati dalla Corte di Giustizia (sentenza 28 febbaio 1991), in astratto sono ipotizzabili modelli procedimentali diversi che dipendono dalle specifiche scelte del legislatore.

 

5. Gli impianti non rientranti nell’ambito di applicazione della normativa IPPC.

 

Nel caso di impianti non rientranti nell’ambito di applicazione della normativa IPPC, così come evidenziato anche dalla Corte di Cassazione[18], in linea di principio dovranno essere richieste le specifiche autorizzazioni previste dalle diverse discipline di settore, prime tra tutte quelle concernenti la gestione dei rifiuti (art. 27 ss. d.lgs. n. 22 del 1997), le emissioni atmosferiche (art. 7 d.p.r. n. 203 del 1988) e gli scarichi idrici industriali (art. 45 d.lgs. n. 152 del 1999).

A questo proposito il d.lgs. n. 133 del 2005 viene a modificare in senso sostanziale la materia stabilendo nuove norme tecniche e valori limite di emissione in atmosfera e nelle acque di scarico sia per gli impianti di incenerimento (allegato 1) che per quelli di coincenerimento (allegato 2).

Una delle scelte di fondo operate dalla direttiva 2000/76/CEE si basa sul fatto che la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi va fondata sulle diverse caratteristiche delle sostanze prima del trattamento e non sulle diverse emissioni provocate. Ne consegue l’applicazione alle attività di incenerimento e di coincenerimento dei medesimi valori di emissione, pur nell’ambito di tecniche, condizioni e misure di controllo diverse e più rigorose rispetto alla previdente disciplina.

Sul piano generale il suddetto d.lgs. può quindi essere configurato come una disciplina speciale di settore che si pone in funzione integrativa (o derogatoria a seconda dei casi) rispetto alle normativa generale relativa alla realizzazione ed esercizio degli impianti di smaltimento (nel caso dell’incenerimento) o di recupero (in quello di coincenerimento) di cui agli artt. 27 ss. del d.lgs. n. 22 del 1997.

Per gli impianti di incenerimento le suddette condizioni integrative al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto sono contenute nell’art. 4 commi 3° e 4°.

Si tratta - com’è evidente - di una serie di dati tecnici relativi alla tipologie, alle quantità e alle modalità di incenerimento dei rifiuti trattati nell’impianto (si pensi, ad esempio, alle categorie di rifiuti che possono essere trattate nell’impianto, con l’indicazione dei relativi codice dell’elenco europeo dei rifiuti oppure i valori limite di emissione per ogni singolo inquinante).

Più complesso è il caso di degli impianti di coincenerimento.

Infatti occorre considerare se si è in presenza di un impianto rientrante nell’ambito di applicazione dell’art 17, comma 1°, d.lgs. n. 387 del 2003[19], in quanto, in tale caso, l’art. 5, comma 3°, del d.lgs. n. 133 del 2005 rinvia espressamente al procedimento di rilascio dell’”autorizzazione unica” previsto dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003[20].

Si tratta di un procedimento semplificato di competenza della Regione (o di un soggetto da essa delegato) e articolato sul modello della conferenza dei servizi di cui agli artt. 14 segg. della l. 7 agosto 1990, n. 241 al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate.

Viceversa nel caso in cui l’impianto di coincenerimento non rientri nell’ambito di applicazione del citato art. 17 del d.lgs n. 387 del 2003, alla stessa stregua degli impianti di incenerimento, sarà in linea di principio applicabile la disciplina generale dell’artt. 27 segg. del d.lgs. n. 22 del 1997 integrata dalle condizioni e criteri tecnici indicati nell’art. 5, commi 6°, 7° del d.lgs. n. 133 del 2005 (potenza tecnica nominale di ciascuna apparecchiatura dell’impianto in cui sono alimentati i rifiuti da incenerire, categorie e quantitativi di rifiuti che possono essere trattate nell’impianto, valori limite di emissione per ogni singolo inquinante, etc.).

Può quindi notarsi che per i nuovi impianti di coincenerimento non sussiste comunque la possibilità di avvalersi delle procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997, le quali rimangono possibili solamente in relazione agli impianti esistenti (sul punto si veda il paragrafo successivo).

Sotto questo profilo, come si è detto, il legislatore ha inteso dare piena attuazione al principio comunitario del “consenso amministrativo preliminare” eliminando di regola (salvo il caso degli impianti esistenti) ogni possibile forma di autorizzazione tacita.

 

6. Il regime transitorio applicabile agli impianti esistenti.

 

 

Uno degli aspetti di maggiore complessità della disciplina introdotta dal d.lgs. n. 133 del 2005 è certamente quello costituito dal regime transitorio applicabile agli impianti esistenti.

Innanzi tutto ai sensi dell’art. 2, comma 1°, lett f), impianto “esistente” viene definito “un impianto per il quale l’autorizzazione all’esercizio, in conformità al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 è stata rilasciata ovvero la comunicazione di cui di cui all’articolo 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 è stata effettuata prima della data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero per il quale, in conformità del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, la richiesta di autorizzazione all’esercizio sia stata presentata all’autorità competente entro il 28 dicembre 2002, purchè in entrambi casi l’impianto sia messo in funzione entro il 28 dicembre 2004”.

Secondo quanto previsto dall’art. 21, comma 1°, gli impianti esistenti al momento di entrata in vigore del suddetto decreto avranno tempo di adeguarsi alle nuove disposizioni entro il 28 dicembre 2005 (così del resto, in modo tassativo prevede anche l’art. 20, par. 1, della direttiva 2000/76/CE).

Fino al suddetto termine, conformemente al principio tempus regit actum, si applicano le norme tecniche previgenti (art. 21, comma 9°).

Tale norma costituisce una evidente applicazione del c.d. principio di “gradualità”[21], secondo il quale gli impianti in esercizio (o comunque autorizzati secondo un determinato regime giuridico) hanno la facoltà di continuare a svolgere la propria attività per un determinato arco temporale. Com’è evidente la ratio del principio va ricercata nell’esigenza di bilanciare l’interesse alla tutela ambientale con quello, di tipo economico, derivante dalla necessità di impedire che una determinata attività debba essere interrotta per conformarsi alla nuova disciplina intervenuta.

Tornando all’analisi del d.lgs. n. 133 del 2005 ovviamente l’obbligo di adeguamento sussiste in capo al gestore indipendentemente dal fatto che si tratti di impianti soggetti a disciplina autorizzatoria ordinaria (art. 28 d.lgs. n. 22 del 1997) ovvero semplificata attraverso la comunicazione di inizio attività (art. 31 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997).

A questi ultimi, qualora non siano assoggettati alla normativa IPPC, non utilizzino rifiuti pericolosi e non optino per il regime autorizzatorio ordinario (che quindi in questo caso ha carattere facoltativo) possono comunque essere applicate le procedure semplificate di cui al decreto “Ronchi” (art. 21, comma 4°), anche se comunque la normativa in questione pone alcuni aspetti significativi di differenziazione rispetto alla procedura generale di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 22 del 1997.

Non appare agevole cogliere la ratio complessiva di tali disposizioni anche se nel loro complesso, pur nell’ambito della previsione di termini più brevi rispetto a quelli ordinari, sembrano mirare a garantire un maggiore controllo (tecnico e economico) da parte dell’amministrazione su tali impianti vista loro potenziale pericolosità sul piano ambientale.

In primo luogo, infatti, viene previsto per l’avvio dell’attività di coincenerimento un termine più breve (sessanta giorni) rispetto all’ordinario termine (novanta giorni). Dall’altro però l’avvio delle attività è comunque subordinato all’effettuazione di una ispezione preventiva da parte della provincia competente (da effettuarsi entro sessanta giorni dalla comunicazione ma non viene specificata la natura giuridica di tale termine); infine per l’avvio dell’attività la regione può comunque chiedere al gestore una adeguata garanzia finanziaria a sua favore nella misura definita dalla regione stessa e proporzionata alla capacità massima di coincenerimento dei rifiuti (art. 21, comma 4°).

 

7. (segue). Gli impianti di incenerimento soggetti a procedure semplificate; in particolare il problema della c.d. VIA “postuma”.

 

Per gli impianti di incenerimento esistenti operanti in base alle procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997, è viceversa previsto un regime transitorio diverso.

Infatti l’art. 21, comma 7°, stabilisce l’obbligo – a carico del gestore dell’impianto - di presentare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della nuova normativa uno studio di impatto ambientale contenente una serie di informazioni concernenti essenzialmente la descrizione dell’impianto, i relativi effetti sul piano ambientale e l’indicazione delle misure previste per eliminare o ridurre i suddetti effetti.

Non vi è dubbio che il documento in questione - anche se con contenuti semplificati – è il medesimo previsto a carico del proponente nell’ambito del procedimento di VIA[22].

Ciò appare rilevante sotto due distinti profili.

In primo luogo il successivo comma 8° prevede che in caso di esito favorevole dell’esame dello studio di impatto ambientale (anche se non viene indicata l’amministrazione a ciò competente) debba essere rilasciata l’autorizzazione ai sensi dell’articolo 4.

Dato che quest’ultima - come si è visto - viene emanata mediante un atto scritto, è evidente che gli impianti in questione non potranno più continuare a fruire del regime semplificato di cui agli artt. 31 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997.

Viceversa, pur non essendo presa in esame dal legislatore l’ipotesi in cui vi sia un esito sfavorevole dell’esame dello studio di impatto di ambientale da parte dell’amministrazione, applicando estensivamente i principi relativi al procedimento di VIA si può comunque ritenere che ciò comporti l’impossibilità di proseguire l’attività di incenerimento.

In secondo luogo la norma in questione rende possibile (anzi obbligatoria) la c.d. VIA “postuma”, cioè successiva rispetto alla realizzazione dell’impianto.

La questione del possibile assoggettamento al procedimento di VIA di un’opera successivamente alla sua realizzazione è stato recentemente affrontato dal Consiglio di Stato[23], il quale proprio con riferimento ad un impianto di smaltimento dei rifiuti, in termini generali ha osservato che “se è razionale sottrarre alla previetà della procedura di VIA quei rinnovi di autorizzazioni all’esercizio relativi a impianti autorizzati sulla previa valutazione di impatto ambientale, non altrettanto può dirsi per il rinnovo delle autorizzazioni la cui compatibilità ambientale, in sede di autorizzazione dell’impianto o di autorizzazione all’esercizio degli stessi non sia stata previamente accertata; in questi casi infatti occorre necessariamente individuare un momento in cui, entrata in vigore la disciplina di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997, si proceda per la prima volta all’assoggettamento alla VIA dell’attività di smaltimento dei rifiuti”.

In altri termini, conclude il Consiglio di Stato “quella verifica di impatto ambientale non effettuata in sede di prima applicazione deve necessariamente precedere il rinnovo della prima autorizzazione successiva all’entrata in vigore del decreto legislativo potendo trovare piena applicazione il regime ivi previsto solo per le successive autorizzazioni, sul presupposto che sia intervenuta una previa verifica di impatto ambientale ai sensi del decreto medesimo.

Si tratta peraltro di un orientamento che sotto alcuni profili pone delle indubbie perplessità.

In particolare esso appare in contrasto con la stessa natura giuridica della VIA come atto preventivo volto a verificare gli effetti ambientali di un progetto di una determinata opera.

Ciò emerge in modo chiaro anche dall’art. 2 della direttiva 85/337/CEE ove – nel descrivere i caratteri del giudizio di VIA - fa riferimento alla “natura”, alle “dimensioni” dell’opera nonché alla sua “ubicazione”, il che rende illogico un giudizio successivo alla già avvenuta realizzazione della stessa.

Tra l’altro, com’è noto, l’effetto proprio di un giudizio negativo di VIA è quello di impedire la realizzazione dell’opera, e ciò – evidentemente – non appare possibile nel caso di VIA “postuma”, potendo, al più, portare alla chiusura dell’impianto (ma non alla sua “eliminazione” fisica)[24].

Del resto la stessa Corte di Giustizia[25] ha affermato che la valutazione in questione deve essere effettuata “in linea di principio, non appena sia possibile individuare e valutare tutti gli effetti che il progetto può avere sull’ambiente”, quindi comunque in una fase anteriore rispetto a quella della sua realizzazione.

 

 

 

NOTE

 

 

 

[1] In termini generali, come scritto organico relativo alla previgente disciplina si veda F.GIAMPIETRO, Incenerimento dei rifiuti con recupero energetico. Profili normativi, Milano, 2000.

[2] Ciò discende in particolare dall’art. 17, comma 1°, del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia rinnovabile prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”) secondo il quale “ . . sono ammessi a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche rinnovabili i rifiuti, ivi compresa, anche tramite il ricorso a misure promozionali, la frazione non biodegradabile e i combustibili derivati dai rifiuti, di cui ai decreti previsti dagli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 92 e dalle norme tecniche UNI 9903-1”. Viceversa il successivo comma esclude dal regime delle energie rinnovabili: “a) le fonti assimilate alle fonti rinnovabili di cui all’articolo 1, comma 3°, della l. 9 gennaio 1991, n. 10; b) i beni, i prodotti e le sostanze derivanti da processi il cui scopo primario sia la produzione di vettori energetici o di energia; c) i prodotti energetici che non rispettano le caratteristiche definite dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002 e successive modificazioni e integrazioni”. Sul punto si rinvia a P.GIAMPIETRO, Valorizzazione dei rifiuti a fini energetici, in www.lexitalia.it.

[3] In questo senso G.CAIA, La gestione dell’ambiente: principi di semplificazione e di coordinamento, in Grassi – Cecchetti – Andronio, Ambiente e diritto, Vol. I, Firenze, 1999, p. 237.

[4] Cassazione penale, sez. III, 8 febbraio 1999, in Riv.pen., 1999, p. 562; 29 febbraio 2000, inedita e 10 giugno 2002, inedita. In particolare in quest’ultima si è affermato che gli inceneritori che comportano emissioni in atmosfera sono soggetti sia alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 22 del 1997 che a quelle del d.p.r. n. 203 del 1988, atteso che la normativa comunitaria in materia di inquinamento atmosferico completa e non assorbe quella sui rifiuti

[5] Approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 29 aprile 2005 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 163 del 15 luglio 2005 (supplemento ordinario n. 122/L). Peraltro la Corte di Giustizia aveva condannato l’Italia per mancato recepimento della direttiva nei tempi previsti: sentenza 2 dicembre 2004 (causa C – 97/04), in www.giuristiambientali.it.

[6] Ad esclusione di quelli previsti all’art. 3 (impianti che trattano esclusivamente rifiuti vegetali derivanti da attività agricole e forestali; rifiuti vegetali derivanti dalle industrie alimentari di trasformazione se l’energia elettrica è recuperata, etc.).

[7] In questo senso p. 22 dei considerando della direttiva 76/2000/CE.

[8] Sentenza 13 febbraio 2003 (causa C-228/00) ripresa negli stessi termini dalla sentenza 14 ottobre 2004 (causa C – 113/02). Entrambe le sentenze sono reperibili sul sito www.curia.eu.int/

[9] Si rinvia in tal senso alla precedente nota n. 8.

[10] La definizione di “nuovo” impianto (art. 2, comma 1°, lett. g) si ricava a contrario rispetto a quella di impianto esistente (lett.f); sul punto si veda il paragrafo n. 7.

[11] P. DELL’ANNO, Principi di diritto ambientale europeo e nazionale, Milano, 2004, p. 140.

[12] 28 febbraio 1991 (causa C-360/87), in Riv.it.dir.pubbl.com., 1992, p. 901 ss.

[13] Il par. 5.1 ricomprende “gli impianti per l’eliminazione o il recupero di rifiuti pericolosi, della lista di cui all’art. 1, paragrafo 4 della direttiva 91/689/CEE quali definiti nella allegati II A e II B (operazioni R1, R5, R6, R8 e R9) della direttiva 75/442/CEE e della direttiva 75/439/CEE del Consiglio del 16 luglio 1975, concernente l’eliminazione degli oli usati, con capacità di oltre 10 tonnellate al giorno”; il par. 5.2 “gli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani quali definiti nella direttiva 89/369/CEE del Consiglio dell’8 giugno 1989, concernente la prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato dai nuovi impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e della direttiva 89/429/CEE del Consiglio, del 21 giugno 1989, concernente la riduzione dell’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, con capacità superiore a 3 tonnellate all’ora”; il par. 5.3 “gli impianti per l’eliminazione dei rifiuti non pericolosi quali definiti nell’allegato 11 A della direttiva 75/442/CEE ai punti D8, D9 con capacità superiore a 50 tonnellate al giorno”.

[14] L’elenco delle autorizzazioni sostituite dall’AIA è previsto nell’allegato II, si tratta peraltro di una indicazione di carattere esemplificativo e non tassativo.

[15] Sul punto per maggiori apprendimenti si rinvia a F.FONDERICO, Prospettive di riordino della procedura di valutazione di impatto ambientale e dell’autorizzazione integrata ambientale (IPPC), in www.giuristiambientali.it., pag. 13.

[16] In questo senso G.CAIA, cit., p. 237.

[17] In questo senso osserva F.FONDERICO, Prospettive di riordino della procedura di valutazione di impatto ambientale e dell’autorizzazione integrata ambientale (IPPC), cit., pag. 14, potrebbe essere ad esempio utile applicare il principio di economia degli oneri documentali, nonché quei modelli di recepimento nei quali le due procedure parallele condividono la fase di partecipazione ovvero qualora disposte in serie (in base al progressivo approfondimento della progettazione), lo svolgimento della fase della fase di partecipazione presupposta (VIA) esonera da tale adempimento nel corso della procedura presupponente (IPPC). Sulla delega ambientale, in generale, si veda: F.GIAMPIETRO, Delega al Governo per il T.U. ambientale: una corsa (utile?) contro il tempo, in Ambiente, 2005, p. 105 ss. E F.FONDERICO, “La muraglia e i libri”: legge delega, testi unici e codificazione del diritto ambientale, in Giorn. Dir.amm., 2005, p. 585 ss.

[18] Sul punto si veda la precedente nota n. 4.

[19] Si vada la nota n. 2

[20] Va peraltro precisato che il comma 8° del citato art. 12 esclude dall’ambito di applicazione della disciplina autorizzatoria in quanto considerato attività ad inquinamento atmosferico poco significativo (ai senso dell’articolo 2, comma 1°, d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203): “gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza complessiva non superiore a 3 MW termici, sempre che ubicati all’interno di impianti di smaltimento rifiuti, alimentati da gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas, nel rispetto delle norme tecniche e prescrizioni specifiche adottate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell’articolo 31 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”.

[21] In questo senso P.DELL’ANNO, cit. pag. 146.

[22] Con riferimento al procedimento di VIA statale i contenuti del SIA (studio di impatto ambientale) sono previsti negli artt. 2 ss del d.p.c.m. 27 dicembre 1988 e comprendono: il quadro di riferimento programmatico, progettuale e ambientale.

[23] Sez. IV, 31 agosto 2004, n. 5715, in www.giuristiambientali.it

[24] Sul punto si rinvia alle osservazioni di B. DA CASTROVALVA, “Su una fattispecie di VIA postuma”, in www.giuristiambientali.it

[25] Sentenza 7 gennaio 2004 (causa C – 201/02), in www.curia.eu.int/

Tipi di Miele

 
Tipi di Miele
Tipologie principali e caratteristiche fondamentali del mieleù

I Monoflora sono composti solo da un tipo di fiore e sono diversi l'uno dall'altro, vediamone insieme i più comuni. Gli aspetti più comuni sono la densità , i colore e il sapere viene dato dalla tipo di polline da cui è ottenuto il miele. Ogni miele ha una caratteristica propria, di gusto anche con un proprio retrogusto.

 

  • Il miele di castagno è tra i più intensi di sapore e contiene sali minerali doppi rispetto agli altri; è un ottimo ricostituente.
  • Il miele di acacia è di colore chiaro trasparente, è molto fluido, dolce e con una leggera nota speziata; ha un effetto leggermente lassativo, disintossicante ed è ottimo contro la bronchite.
  • Il miele d'eucalipto è di color verde-oro, viscoso e ha gusto balsamico; è delizioso d'estate e ottimo in inverno per combattere la congestione delle vie dell'intestino e delle vie respiratorie con un'azione lenitivo, disinfettante e può essere utilizzato contro la febbre perché è il più ricco di enzimi.
  • Il miele di tiglio è biancastro, liquido e ha un aroma floreale; ideale contro raffreddori, mal di gola, raucedine e per il suo effetto antalgico naturale, è utile a chi è nervoso.
  • Il miele di abete ha colore  nerastro, con sapore aromatico ma gradevole; è idoneo come antisettico delle vie respiratorie e della febbre.
  • Il miele di biancospino è di color ambrato con sapore dolce, granuloso; è chiamato anche il "miele dei cardiaci" ed è efficace anche per l'insonnia.
  • Il miele di timo ha un colore ambrato scuro con gusto pronunciato ed è appropriato come disinfettante di bronchi e intestino.
  • Il miele agli agrumi,, ha colore chiaro con aroma pungente ed è ideale per dolcificare tisane calmanti o per l'insonnia ed emollienti; mescolato con tè ghiacciato è un  dissetante,aumentando il potere dolcificante.

L' Idromele  è una bevanda antica ottenuta fermentando il miele con acqua, spezie, vino, mosto o liquori. Ci sono anche liquori ottenuti fermentando alcool e miele, unendo anche aromi naturali.

Il Protocollo di Kyoto

 
Il Protocollo di Kyoto

Convenzione sui Cambiamenti Climatici

 

Mondo intero - Kyoto - 11.12.1997

 

 

Introduzione

 

Gli Stati, quando adottarono la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, nel 1992, riconobbero che essa avrebbe costituito un trampolino per un’azione più energica nel futuro. Istituendo un processo permanente di esame, di discussione e di scambio di informazioni, la Convenzione ha permesso l’adozione di impegni supplementari adattati all’evoluzione delle conoscenze scientifiche e della volontà politica.

 

Il primo esame dell’adeguamento degli impegni assunti dai paesi sviluppati si ebbe, come previsto, nella prima sessione della Conferenza delle Parti (CP–1), a Berlino, nel 1995.

 

Le Parti decisero che gli impegni dei paesi sviluppati, di mantenere le emissioni dell’anno 2000 ai livelli di del 1990 non permetteva di perseguire l’obiettivo, a lungo termine, della Convenzione, di impedire “interferenze antropiche (attribuibili all’attività umana) pericolose per il sistema climatico”.

 

I ministri e gli altri funzionari di alto livello risposero adottando il “Mandato di Berlino” ed aprendo un nuovo giro di consultazioni per rafforzare gli impegni dei paesi sviluppati. Il Gruppo Speciale del Mandato di Berlino (AGBM) è stato istituito al fine di redigere una bozza di accordo; al termine di otto sessioni ha trasmesso alla CP–3 il testo per la negoziazione finale.

 

Quasi 10.000 delegati, osservatori e giornalisti parteciparono a questo importantissimo evento, celebrato a Kyoto, Giappone, nel dicembre del 1997. Alla Conferenza si approvò, per consenso, la decisione (1/CP.3) per l’adozione di un Protocollo secondo il quale i paesi industrializzati si impegnano a ridurre, per il periodo 2008–2012, il totale delle emissioni di gas ad effetto serra almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990. Questi impegni, giuridicamente vincolanti, produrranno una reversione storica della tendenza ascendente delle emissioni che detti paesi hanno da circa 150 anni.

 

Il Protocollo di Kyoto è stato aperto alla firma il 16 marzo 1998. Entrerà in vigore il novantesimo giorno successivo alla data in cui almeno 55 Parti della Convenzione, tra le quali i paesi sviluppati le cui emissioni totali di biossido di carbonio rappresentano almeno il 55% della quantità totale emessa nel 1990 da questo gruppo di paesi, lo abbiano ratificato. Parallelamente, le Parti della Convenzione sui Cambiamenti Climatici continueranno ad adempiere agli impegni assunti a norma della Convenzione e si prepareranno per la futura applicazione del Protocollo.

 

Indice

 

Gli articoli del Protocollo di Kyoto della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici non hanno titoli: i temi enumerati qui di seguito hanno solo un carattere indicativo; si prefiggono esclusivamente di aiutare il lettore e non formano parte integrante del testo ufficiale, il quale inizia da pag.4

 

Preambolo

 

1. Definizioni

2. Politiche e misure

3. Quantificazione degli impegni in materia di limitazione e riduzione delle emissioni

4. Adempimento congiunto degli impegni

5. Questioni metodologiche

6.Trasferimento e acquisto di unità di riduzione delle emissioni   (applicazione congiunta)

7. Comunicazione delle informazioni

8. Esame delle informazioni

9. Esame del Protocollo

10. Progressi nell’applicazione degli obblighi esistenti

11. Meccanismo finanziario

12. Meccanismo per uno sviluppo “pulito”

13. Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del Protocollo

14. Segretariato

15. Organi sussidiari

16. Processo di consultazione multilaterale

17. Commercio di emissioni

18. Inadempimento delle disposizioni

19. Risoluzione delle controversie

20. Emendamenti

21. Adozione ed emendamenti degli allegati

22. Diritto di voto

23. Depositario

24. Firma e ratifica, accettazione, approvazione o adesione

25. Entrata in vigore

26. Riserve

27. Ritiro

28. Testi autentici

 

  

Allegato A: Categorie e settori delle fonti di emissioni di gas ad effetto serra

Allegato B: Quantificazione degli impegni di limitazione o di riduzione delle emissioni delle Parti

 

La tavola e le tre decisioni della Conferenza delle Parti che seguono non fanno parte del Protocollo di Kyoto. Tuttavia sono state incluse in questo fascicolo come informazioni utili per l’adozione e l’applicazione del Protocollo.

 

Decisione 1/CP.3: Adozione del Protocollo di Kyoto della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici.

Decisione 2/CP.3: Questioni metodologiche relative al Protocollo di Kyoto.

Decisione 3/CP.3: Applicazione dei paragrafi 8 e 9 dell’Articolo 4 della Convenzione.

 

Tavola: Totale delle emissioni di biossido di carbonio delle Parti incluse all’Allegato I nel 1990, ai fini dell’articolo 25 del Protocollo di Kyoto.

 

PROTOCOLLO DI KYOTO DELLA CONVENZIONE QUADRO DELLE NAZIONI UNITE

SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI

 

Le Parti del presente Protocollo,

Essendo Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (da qui in avanti denominata “la Convenzione”),

Perseguendo l’obiettivo finale della Convenzione enunciato all’articolo 2,

Ricordando le disposizioni della Convenzione, guidate dall’articolo 3 della Convenzione, nel rispetto del Mandato di Berlino, adottato con decisione 1/CP.1 dalla Conferenza delle Parti della Convenzione nella sua prima sessione, hanno convenuto quanto segue:

 

ARTICOLO 1

Ai fini del presente Protocollo si applicano le definizioni contenute all’articolo 1 della Convenzione.

 

Inoltre:

1. Per “Conferenza delle Parti” si intende la Conferenza delle Parti della Convenzione.

 

2. Per “Convenzione” si intende la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, adottata a New York il 9 maggio 1992.

 

3. Per “Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico” si intende il Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico costituito congiuntamente dalla Organizzazione Meteorologica Mondiale ed il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, nel 1988.

 

4. Per “Protocollo di Montreal” si intende il Protocollo di Montreal relativo alle sostanze che riducono lo strato di ozono, adottato a Montreal il 16 settembre 1987, nella sua forma successivamente modificata ed emendata.

 

5. Per “Parti presenti e votanti” si intendono le Parti presenti che esprimono un voto affermativo o negativo.

 

6. Per “Parte” si intende, a meno che il contesto non indichi diversamente, una Parte del presente Protocollo.

 

7. Per “Parte inclusa nell’Allegato I” si intende una Parte che figura nell’Allegato I della Convenzione, tenuto conto degli eventuali emendamenti, o la Parte che ha presentato una notifica ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, punto g), della Convenzione.

 

ARTICOLO 2

1. Ogni Parte inclusa nell’Allegato I, nell’adempiere agli impegni di limitazione quantificata e di riduzione delle emissioni previsti all’articolo 3, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile:

 

a) Applicherà e/o elaborerà politiche e misure, in conformità con la sua situazione nazionale, come:

  • i) Miglioramento dell’efficacia energetica in settori rilevanti dell’economia nazionale;
  • ii) Protezione e miglioramento dei meccanismi di rimozione e di raccolta dei gas ad effetto serra, non inclusi nel Protocollo di Montreal, tenuto conto degli impegni assunti in virtù degli accordi internazionali ambientali; promozione di metodi sostenibili di gestione forestale, di imboschimento e di rimboschimento;
  • iii) Promozione di forme sostenibili di agricoltura, alla luce delle considerazioni relative ai cambiamenti climatici;
  • iv) Ricerca, promozione, sviluppo e maggiore utilizzazione di forme energetiche rinnovabili, di tecnologie per la cattura e l’isolamento del biossido di carbonio e di tecnologie avanzate ed innovative compatibili con l’ambiente;
  • v) Riduzione progressiva, o eliminazione graduale, delle imperfezioni del mercato, degli incentivi fiscali, delle esenzioni tributarie e di sussidi, che siano contrari all’obiettivo della Convenzione, in tutti i settori responsabili di emissioni di gas ad effetto serra, ed applicazione di strumenti di mercato;
  • vi) Incoraggiamento di riforme appropriate nei settori pertinenti, al fine di promuovere politiche e misure che limitino o riducano le emissioni dei gas ad effetto serra non inclusi nel Protocollo di Montreal;
  • vii) Adozione di misure volte a limitare e/o ridurre le emissioni di gas ad effetto serra non inclusi nel Protocollo di Montreal nel settore dei trasporti;
  • viii) Limitazione e/o riduzione delle emissioni di metano attraverso il suo recupero ed utilizzazione nel settore della gestione dei rifiuti, come pure nella produzione, il trasporto e la distribuzione di energia;

b) Coopererà con le altre Parti incluse all’Allegato I per rafforzare l’efficacia individuale e combinata delle politiche e misure adottate a titolo del presente articolo, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2(e)(i), della Convenzione.

 

A tal fine, dette Parti dovranno dar vita ad iniziative per condividere esperienze e scambiare informazioni su politiche e misure, in particolar modo sviluppando sistemi per migliorare la loro compatibilità, trasparenza ed efficacia. La Conferenza delle Parti agente come Conferenza delle Parti del Protocollo dovrà, nella sua prima sessione, o quanto prima possibile, esaminare i mezzi per facilitare tale cooperazione, tenendo conto di tutte le informazioni pertinenti.

 

2. Le Parti incluse nell’Allegato I cercheranno di limitare o ridurre le emissioni di gas ad effetto serra non inclusi nel Protocollo di Montreal generati da combustibili utilizzati nel trasporto aereo e marittimo, operando con la Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile e l’Organizzazione Internazionale Marittima.

 

3. Le Parti incluse nell’Allegato I si impegneranno ad attuare le politiche e misure previste nel presente articolo al fine di ridurre al minimo gli effetti negativi, inclusi gli effetti avversi del cambiamento climatico, gli effetti sul commercio internazionale e gli impatti sociali, ambientali ed economici sulle altre Parti, in special modo le Parti paesi in via di sviluppo ed, in particolare, quelle menzionate nell’articolo 4, paragrafi 8 e 9, della Convenzione, in considerazione dell’articolo 3 della Convenzione. La Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo potrà adottare, se opportuno, ulteriori misure per promuovere l’applicazione delle disposizioni del presente paragrafo.

 

4. Nel caso in cui ritenga utile coordinare alcune politiche e misure previste nel paragrafo 1(a) del presente articolo, tenendo conto delle diverse situazioni nazionali e degli effetti potenziali, la Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo, valuterà le forme ed i mezzi appropriati per organizzare il coordinamento di tali politiche e misure.

 

ARTICOLO 3

1. Le Parti incluse nell’Allegato I assicureranno, individualmente o congiuntamente, che le loro emissioni antropiche aggregate, espresse in equivalente–biossido di carbonio, dei gas ad effetto serra indicati nell’Allegato A, non superino le quantità che sono loro attribuite, calcolate in funzione degli impegni assunti sulle limitazioni quantificate e riduzioni specificate nell’Allegato B e in conformità alle disposizioni del presente articolo, al fine di ridurre il totale delle emissioni di tali gas almeno del 5% rispetto ai livelli del 1990, nel periodo di adempimento 2008–2012.

 

2. Ogni Parte inclusa nell’Allegato I dovrà aver ottenuto nel 2005, nell’adempimento degli impegni assunti a titolo del presente Protocollo, concreti progressi.

 

3. Le variazioni nette di gas ad effetto serra, relative ad emissioni da fonti e da pozzi di assorbimento risultanti da attività umane direttamente legate alla variazione nella destinazione d’uso dei terreni e dei boschi, limitatamente all’imboschimento, al rimboschimento e al disboscamento dopo il 1990, calcolate come variazioni verificabili delle quantità di carbonio nel corso di ogni periodo di adempimento, saranno utilizzate dalle Parti incluse nell’Allegato I per adempiere agli impegni assunti ai sensi del presente articolo. Le emissioni di gas ad effetto serra, dalle fonti e l’assorbimento dai pozzi associati a dette attività, saranno notificati in modo trasparente e verificabile ed esaminati a norma degli articoli 7 e 8.

 

4. Precedentemente alla prima sessione della Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo ogni Parte inclusa nell’Allegato I fornirà all’Organo Sussidiario del Consiglio Scientifico e Tecnologico, per il loro esame, dati che permettano di determinare il livello di quantità di carbonio nel 1990 e di procedere ad una stima delle variazioni di dette quantità di carbonio nel corso degli anni successivi. Nella sua prima sessione, o quanto prima possibile, la Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo, determinerà le modalità, le norme e le linee guida da seguire per stabilire quali attività antropiche supplementari, legate alle variazioni delle emissioni dalle fonti e dai pozzi di assorbimento dei gas ad effetto serra nelle categorie dei terreni agricoli, nonché nelle categorie della variazione della destinazione d’uso dei terreni e dei boschi, dovranno essere aggiunte o sottratte alle quantità attribuite alle Parti incluse nell’Allegato I, tenendo conto delle incertezze, della necessità di comunicare risultati trasparenti e verificabili, del lavoro metodologico del Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico, delle raccomandazioni dell’Organo Sussidiario del Consiglio Scientifico e Tecnologico, conformemente all’art. 5, e delle decisioni della Conferenza delle Parti. Tale decisione si applicherà nel secondo e nei successivi periodi di adempimento. Una Parte può applicarla alle sue attività antropiche supplementari nel primo periodo di adempimento a condizione che dette attività abbiano avuto luogo dopo il 1990.

 

5. Le Parti incluse nell’Allegato I in transizione verso una economia di mercato ed il cui anno o periodo di riferimento è stato stabilito in conformità alla decisione 9/CP.2, adottata dalla Conferenza delle Parti nella sua seconda sessione, utilizzeranno tale anno o periodo di riferimento per l’attuazione degli impegni assunti a norma del presente articolo. Ogni altra Parte inclusa nell’Allegato I in transizione verso una economia di mercato e che non abbia ancora presentato la sua prima comunicazione nazionale, in conformità dell’articolo 12 della Convenzione, potrà ugualmente notificare alla Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo la sua intenzione di considerare un anno o un periodo storico di riferimento diverso dal 1990 per adempiere agli impegni assunti a norma del presente articolo. La Conferenza delle Parti, agente come riunione delle Parti del presente Protocollo si pronuncerà sulla accettazione di tale notifica.

 

6. Tenendo conto dell’articolo 4, paragrafo 6, della Convenzione, la Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo concederà alle Parti incluse nell’Allegato I in transizione verso una economia di mercato un certo grado di flessibilità nell’adempimento degli impegni assunti diversi da quelli previsti nel presente articolo.

 

7. Nel corso del primo periodo di adempimento degli impegni per la riduzione e la limitazione quantificata delle emissioni, dal 2008 al 2012, la quantità attribuita a ciascuna Parte inclusa nell’Allegato I sarà uguale alla percentuale ad essa assegnata, indicata nell’Allegato B, delle emissioni antropiche aggregate, espresse in equivalente–biossido di carbonio, dei gas ad effetto serra indicate all’Allegato A e relative al 1990, o nel corso dell’anno o del periodo di riferimento, ai sensi del paragrafo 5, moltiplicate per cinque. Le Parti incluse nell’Allegato I, per le quali la variazione nella destinazione d’uso dei terreni e dei boschi costituivano nel 1990 una fonte netta di emissione di gas ad effetto serra, includeranno nelle emissioni relative al 1990, o ad altro periodo di riferimento, le emissioni antropiche aggregate, espresse in equivalente biossido di carbonio, meno le quantità assorbite dai pozzi di assorbimento all’anno 1990, derivanti dalla variazione nella destinazione d’uso dei terreni.

 

8. Tutte le Parti incluse nell’Allegato I potranno utilizzare il 1995 come anno di riferimento per gli idrofluorocarburi, i perfluorocarburi e l’esafluoro di zolfo, ai fini delle operazione di calcolo di cui al paragrafo 7.

 

9. Per le Parti incluse nell’Allegato I, gli impegni assunti per i successivi periodi di adempimento

saranno determinati come emendamenti all’Allegato I del presente Protocollo e saranno adottati conformemente alle disposizioni di cui all’articolo 21, paragrafo 7. La Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo inizierà la valutazione di tali impegni almeno sette anni prima della fine del primo periodo di adempimento, di cui al paragrafo 1.

 

10. Tutte le unità di riduzione delle emissioni, o tutte le frazioni di una quantità assegnata, che una Parte acquista da un’altra Parte, conformemente alle disposizioni di cui agli articoli 6 o 17, sarà sommata alla quantità assegnata alla Parte che l’acquista.

 

11. Tutte le unità di riduzione delle emissioni, o tutte le frazioni di una quantità assegnata, che una Parte trasferisce ad un’altra Parte, conformemente alle disposizioni di cui agli articoli 6 o 17, sarà sottratta alla quantità assegnata alla Parte che la trasferisce.

 

12. Tutte le riduzioni accertate delle emissioni che una Parte acquista da un’altra Parte, conformemente

alle disposizioni di cui all’articolo 12, sarà sommata alla quantità assegnata alla Parte che l’acquista.

 

13. Se le emissioni di una Parte inclusa nell’Allegato I, nel corso di un periodo di adempimento, sono inferiori alla quantità che le è stata assegnata in virtù del presente articolo, tale differenza sarà sommata, su richiesta di detta Parte, alla quantità che le è stata assegnata per i successivi periodi di adempimento.

 

14. Ogni Parte inclusa nell’Allegato I si impegnerà ad adempiere agli impegni indicati nel paragrafo 1, al fine di ridurre al minimo gli effetti sociali, ambientali ed economici contrari sui paesi in via di sviluppo Parti, in particolare quelli indicati all’articolo 4, paragrafi 8 e 9, della Convenzione. In linea con le decisioni della Conferenza delle Parti, per l’attuazione di tali paragrafi, la Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo, esaminerà, nella sua prima sessione, le misure necessarie per ridurre al minimo gli effetti dei cambiamenti climatici e/o l’impatto delle misure di risposta delle Parti menzionate in detto paragrafo. Tra le questioni da prendere in considerazione vi saranno il finanziamento, l’assicurazione ed il trasferimento di tecnologie.

 

ARTICOLO 4

 

1. Tutte le Parti incluse nell’Allegato I, che abbiano concordato un’azione congiunta per l’attuazione degli obblighi assunti a norma dell’articolo 3, saranno considerate adempienti se la somma totale delle emissioni antropiche aggregate, espresse in equivalenti–biossido di carbonio, di gas ad effetto serra indicati nell’Allegato A non supera la quantità loro assegnata, calcolata in funzione degli impegni di limitazione quantificata e di riduzione delle emissioni elencate nell’Allegato B e conformemente alle disposizioni dell’articolo 3. Il rispettivo livello di emissione assegnato a ciascuna delle Parti dell’accordo sarà stabilito nell’accordo.

 

2. Le Parti di tale accordo notificheranno al Segretariato il contenuto dell’accordo alla data di deposito degli strumenti di ratifica, d’accettazione, di approvazione o di adesione del presente Protocollo. Il Segretariato informerà, a sua volta, tutte le Parti ed i firmatari della Convenzione dei termini dell’accordo.

 

3. Tutti gli accordi di questo tipo rimarranno in vigore per la durata del periodo di adempimento specificata all’articolo 3, paragrafo 7.

 

4. Se le Parti, agendo congiuntamente, lo fanno nel quadro di una organizzazione regionale di integrazione economica e di concerto con essa, ogni variazione nella composizione di detta organizzazione, successiva all’adozione del presente Protocollo, non inciderà sugli impegni assunti in virtù del presente Protocollo. Ogni variazione nella composizione dell’organizzazione avrà effetto solo ai fini dell’attuazione degli impegni previsti all’articolo 3 che siano adottati successivamente a quella modificazione.

 

5. Se le Parti dell’accordo, agendo congiuntamente, non raggiungeranno il livello totale combinato delle riduzioni di emissioni, ogni Parte sarà responsabile del proprio livello di emissioni stabilito nell’accordo.

 

6. Se le Parti, agendo congiuntamente, operano all’interno di una organizzazione regionale di integrazione economica, Parte del presente Protocollo, e di concerto con essa, ogni Stato membro di detta organizzazione regionale di integrazione economica, individualmente, o congiuntamente con l’organizzazione regionale di integrazione economica, agendo ai sensi dell’articolo 24, sarà responsabile, nel caso in cui venga raggiunto il livello totale combinato delle riduzioni di emissioni, del livello delle sue emissioni, così come notificato in conformità del presente articolo.

 

ARTICOLO 5

 

1. Ogni Parte inclusa nell’Allegato I realizzerà, non più tardi di un anno prima dell’inizio del primo periodo di adempimento, un sistema nazionale per la stima delle emissioni antropiche dalle fonti e dall’assorbimento dei pozzi di tutti i gas ad effetto serra non inclusi nel Protocollo di Montreal. La Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo deciderà, nella sua prima sessione, le linee guida di tali sistemi nazionali, tra le quali saranno incluse le metodologie specificate nel paragrafo 2 infra.

 

2. Le metodologie per la stima delle emissioni antropiche da sorgenti e dall’assorbimento dei pozzi di tutti i gas ad effetto serra non inclusi nel Protocollo di Montreal saranno quelle accettate dal Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico e approvate dalla Conferenza delle Parti nella sua terza sessione. Laddove tali metodologie non vengano utilizzate, verranno introdotti gli adattamenti necessari conformi alle metodologie concordate dalla Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo nella sua prima sessione. Basandosi sul lavoro del Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico e sulle raccomandazioni fornite dall’Organo Sussidiario del Consiglio Scientifico e Tecnologico, la Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo esaminerà regolarmente e, se opportuno, revisionerà tali metodologie ed adattamenti, tenendo pienamente conto delle decisioni pertinenti della Conferenza delle Parti. Ogni revisione delle metodologie o degli adattamenti si effettuerà solo al fine di accertare il rispetto degli impegni assunti a norma dell’articolo 3 per ogni periodo di adempimento successivo a detta revisione.

 

3. I potenziali di riscaldamento globale utilizzati per calcolare l’equivalente–biossido di carbonio delle emissioni antropiche dalle sorgenti e dall’assorbimento dei pozzi di gas ad effetto serra elencati nella Allegato A saranno quelli accettati dal Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico ed approvati dalla Conferenza delle Parti nella sua terza sessione. Basandosi sul lavoro del Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico e sulle raccomandazioni fornite dall’Organo Sussidiario del Consiglio Scientifico e Tecnologico, la Conferenza delle Parti agente come riunione delle Parti del presente Protocollo esaminerà periodicamente e, se opportuno, revisionerà il potenziale di riscaldamento globale di ciascuno di tali gas ad effetto serra tenendo pienamente conto delle decisioni pertinenti della Conferenza delle Parti. Ogni revisione di un potenziale di riscaldamento globale sarà applicabile solo agli impegni di cui all’articolo 3 per ogni periodo di adempimento posteriore a detta revisione.

 

Per saperne di più:

 

http://www.lanuovaecologia.it/leggi/unione_europea/737.php

http://www.lanuovaecologia.it/energia/politiche/4279.php

http://www.lanuovaecologia.it/energia/efficienza/4031.php

http://www.lanuovaecologia.it/inquinamento/atmosferico/3588.phphttp://www.lanuovaecologia.it/energia/politiche/3982.php

 

Il Protocollo di Kyoto: Stati Aderenti

Il Protocollo di Kyoto: Stati Aderenti
Elenco degli Stati aderenti al protocollo
 
 

Stati firmatari e aderenti al protocollo di Kyoto

Nazione

Firma protocollo

Adesione

Antigua e Barbuda

16-03-1998

3-11-1998

Argentina

16-03-1998

28-9-2001

Armenia

---

25-4-2003

Australia

29-4-1998

NO

Austria

29-4-1998

31-5-2002

Azerbaigian

---

28-9-2000

Bahamas

---

9-4-1999

Bangladesh

---

22-10-2001

Barbados

---

7-8-2000

Belgio

29-4-1998

31-5-2002

Benin

---

25-2-2002

Bhutan

---

26-8-2002

Bolivia

9-7-1998

20-11-1999

Botswana

---

8-8-2003

Brasile

29-4-1998

23-8-2002

Bulgaria

18-9-1998

15-8-2002

Burundi

---

8-10-2001

Cambogia

---

22-8-2002

Camerun

---

28-8-2002

Canada

29-4-1998

17-12-2002

Rep. Ceca

23-11-1998

15-11-2001

Cile

17-6-1998

26-8-2002

Cina

29-5-1998

30-8-2002

Cipro

---

16-7-1999

Colombia

---

30-11-2001

Cook

16-9-1998

27-8-2001

Corea del Sud

25-9-1998

8-11-2002

Costarica

27-4-1998

9-8-2002

Croazia

11-3-1999

NO

Cuba

15-3-1999

30-4-2002

Danimarca

29-4-1998

31-5-2002 (1)

Rep. Dominicana

---

12-2-2002

Ecuador

15-1-1999

13-1-2000

Egitto

15-3-1999

NO

El Salvador

8-6-1998

20-11-1998

Estonia

3-12-98

14-10-2002

Figi

17-9-1998

17-9-1998

Filippine

15-4-1998

NO

Finlandia

29-4-1998

31-5-2002

Francia

29-4-1998

31-5-2002

Gambia

---

1-6-2001

Georgia

---

16-6-1999

Germania

29-4-1998

31-5-2002

Ghana

---

30-5-2003

Giamaica

---

28-6-1999

Giappone

28-4-98

4-6-2002

Gibuti

---

12-3-2002

Giordania

---

17-1-2003

Gran Bretagna

29-4-1998

31-5-2002

Grecia

29-4-1998

31-5-2002

Grenada

---

6-8-2002

Guatemala

10-7-1998

5-10-1999

Guinea

---

7-9-2000

Guinea Equatoriale

---

16-8-2000

Guyana

---

5-8-2003

Honduras

25-2-1999

19-7-2000

India

---

26-8-2002

Indonesia

13-7-1998

NO

Irlanda

29-4-1998

31-5-2002

Islanda

---

23-5-2002

Israele

16-12-1998

NO

Italia

29-4-1998

31-5-2002

Kazakistan

12-3-1999

NO

Kiribati

---

7-9-2000

Kirghizistan

---

13-5-2003

Laos

---

6-2-2003

Lesotho

---

6-9-2000

Lettonia

14-12-1998

5-7-2002

Liberia

---

5-11-2002

Liechtenstein

29-6-1998

NO

Lituania

21-9-1998

3-1-2003

Lussemburgo

29-4-1998

31-5-2002

Malawi

---

26-10-2001

Malaysia

12-3-1999

4-9-2002

Maldive

16-03-1998

30-12-1998

Mali

27-1-1999

28-3-2002

Malta

17-4-1998

11-11-2001

Marocco

---

25-1-2002

Marshall

17-3-1998

11-8-2002

Mauritius

---

9-5-2001

Messico

9-6-1998

7-9-2000

Micronesia

17-3-1998

21-6-1999

Moldavia

---

22-4-2003

Monaco

29-4-1998

NO

Mongolia

---

15-12-1999

Myanmar

---

13-8-2003

Namibia

---

4-9-2003

Nauru

---

16-8-2001

Nicaragua

7-7-1998

18-11-1999

Niger

23-10-1998

NO

Niue

8-12-1998

6-5-1999

Norvegia

29-4-1998

30-5-2002

Nuova Zelanda

22-5-1998

19-12-2002 (2)

Paesi Bassi

29-4-1998

31-5-2002

Palau

---

10-12-1999

Panama

8-6-1998

5-3-1999

Papua Nuova Guinea

2-3-1999

28-3-2002

Paraguay

25-8-1998

27-8-1999

Perù

13-11-1998

12-9-2002

Polonia

15-7-1998

13-12-2002

Portogallo

29-4-1998

31-5-2002

Romania

5-1-1999

19-3-2001

Russia

11-3-1999

21-10-2004

Salomone

29-9-1998

13-3-2003

Samoa

16-3-1998

27-11-2000

Santa Lucia

16-03-1998

20-8-2003

San Vincenzo e Grenadine

19-3-1998

NO

Senegal

---

20-7-2001

Seychelles

20-3-1998

22-7-2002

Slovacchia

26-2-1999

31-5-2002

Slovenia

21-10-1998

2-8-2002

Spagna

29-4-1998

31-5-2002

Sri Lanka

---

3-9-2002

Sudafrica

---

31-7-2002

Svezia

29-4-1998

31-5-2002

Svizzera

16-03-1998

9-7-2003

Tanzania

---

26-8-2002

Thailandia

2-2-1999

28-8-2002

Trinidad e Tobago

7-1-1999

28-1-1999

Tunisia

---

22-1-2003

Turkmenistan

28-9-1998

11-1-1999

Tuvalu

16-11-1998

16-11-1998

Ucraina

15-3-1999

NO

Uganda

---

25-3-2002

Ungheria

---

21-8-2002

Unione Europea

29-4-1998

31-5-2002

USA

12-11-1998

NO

Uruguay

29-7-1998

5-2-2001

Uzbekistan

20-11-1998

12-10-1999

Vanuatu

---

17-7-2001

Vietnam

3-12-1998

25-9-2002

Zambia

5-8-98

NO

 

 

Fonte:Wikipedia

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