Archivio L'Opinione

Le problematiche ambientali: una questione complessa

Le problematiche ambientali: una questione complessa

L’individuazione delle problematiche e delle questioni sono possibili soluzioni e opportunità.

Quando si parla di ambiente si parla di relazioni o meglio tra correlazioni tra sistemi viventi e non coinvolgendo diverse discipline che vanno in connessione. Talvolta, non è possibile un approccio univoco alle tematiche ambientali. L’Agenzia Europea dell’ambiente tra le fonti principali dell’inquinamento presente nelle nostre città individua quello atmosferico. L’inquinamento dell’aria resta la principale minaccia alla salute in Europa ed è responsabile di oltre 400 000 morti premature all’anno nell’UE. Seguono l’inquinamento acustico, che contribuisce a 12 000 morti premature, e gli effetti del cambiamento climatico, in particolare le ondate di calore specie d’estate. Il carico di inquinamento e cambiamento climatico assume proporzioni diverse in Europa e si notano differenze nette tra i paesi dell’Europa orientale e occidentale.

Per questo motivo, una migliore qualità dell’ecosistema urbano evidenzia quanto i cittadini sono esposti a molteplici rischi in ogni momento, tra cui inquinamento dell’aria, dell’acqua e acustico, nonché a sostanze chimiche, che si combinano e, in alcuni casi, agiscono contemporaneamente con conseguenze sulla salute. Le città europee sono particolarmente vulnerabili a questa molteplicità di minacce e al contempo offrono meno opportunità di accesso a spazi verdi con la presenza del verde urbano. Le comunità che presentano carenze sociali normalmente si trovano a lottare contemporaneamente con povertà, qualità dell’ambiente scadente e problemi di salute.

Le comunità più povere spesso sono esposte a livelli superiori di inquinamento, di rumore e a temperature elevate, mentre le condizioni di salute preesistenti aumentano le vulnerabilità ai pericoli per la salute di origine ambientale. È necessario attuare interventi mirati per migliorare le condizioni ambientali delle persone più vulnerabili in Europa. Pertanto, sono necessarie politiche ambientali forti partendo a livello locale in cui cercare di creare un’inversione di tendenza. Verde, raccolta differenziata spinta, efficientamento energetico domestico, mobilità sostenibile, ritornando a zone a traffico limitato, zone 30, car pooling, condivisone di mezzi di trasporti e alla sempreverde bicicletta per poter abbinare il movimento fisico con vari benefici all’ambiente.

Nell’ambito dell’UE, il Green Deal europeo rappresenta un cambio di direzione decisivo nel dettare gli orientamenti dell’agenda politica europea e definisce una strategia sostenibile e inclusiva per migliorare la salute e la qualità della vita dei cittadini, il rispetto della natura, senza lasciare indietro nessuno. E’ necessario sviluppare le leve economico ambientali per convertire gli immobili privati e non solo. Il Superbonus 110% (Ecobonus e Sismabonus) è un’agevolazione fiscale prevista dal Decreto Rilancio (D.L. 34/2020, convertito dalla Legge 77/2020) che permette la detrazione del 110% (per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021) nell’ambito di specifici interventi rivolti a: migliorare l’efficienza energetica, ridurre il rischio sismico, installazione di impianti fotovoltaici o di infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici. Rispetto alle disposizioni già attive prevede alcune importanti novità; Fruizione del bonus fiscale tramite la cessione del credito d’imposta alle banche e altri intermediari finanziari. “Sconto in fattura” da parte del fornitore di beni/servizi relativi agli interventi agevolati. E’ necessario attivare delle leve economico – ambientali per rilanciare l’economia e andare verso una vera transizione ecologica di cui abbiamo veramente bisogno.

Preveniamo lo spreco alimentare

Preveniamo lo spreco alimentare

Tutti siamo consumatori di cibo ma malauguratamente milioni di tonnellate finiscono nei bidoni della spazzatura spesso con le confezioni incluse. A livello globale si spreca ogni anno una quantità di cibo senza tener conto di pesce e crostacei pari a 750 miliardi di dollari. Per dare un'idea della portata del danno, basta immaginare di prendere i Pil di Turchia e Svizzera, chiuderli in un enorme sacchetto nero e buttarli nella spazzatura. In Italia ogni anno circa 240 mila tonnellate di cibo, del valore di oltre un miliardo di euro, restano invendute nel retro dei negozi di alimentari e nella grande distribuzione. E da qui vengono avviate a smaltimento, nonostante sarebbero in grado di sfamare 600mila persone assicurando loro tre pasti al giorno per un anno. Con lo sperpero di cibo purtroppo avviene un cattivo uso di risorse naturali, di consumo di energia utilizzata dalla produzione, nel corso della trasformazione/lavorazione e nella distribuzione fino al consumo casalingo: nei Paesi in via di sviluppo il fatto avviene soprattutto nei passaggi a monte (cioè perlopiù negli stadi di produzione agricola), mentre nei Paesi Occidentali lo spreco si distingue specialmente a valle, cioè nelle fasi di distribuzione, vendita, ristorazione e consumo domestico. Ognuno di noi può agire attivamente per contrastare questo fenomeno. In che maniera? Ad esempio: fare molta attenzione alle etichette degli alimenti riportanti le date di scadenza, valutare il peso per acquistare solo il cibo necessario. Le ricadute ambientali del fenomeno sono smisurate: ad esempio i dati dicono che se lo spreco alimentare fosse un Paese sarebbe il terzo produttore mondiale di gas climalteranti, dopo gli Stati Uniti e la Cina oppure che l'acqua utilizzata per produrre il cibo che poi viene buttato corrisponde al fabbisogno domestico di New York per i prossimi 120 anni. Il tema dello spreco alimentare ha avuto solo di recente un'effettiva ufficializzazione, con l'adesione da parte di diversi Paesi ad impegni internazionali. Nel settembre del 2015, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha accolto formalmente i 17 nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDG) contenuti nell'ambito dell'Agenda 2030. Tra gli obiettivi menzioniamo in particolare il Goal n° 12 "Consumo e produzione responsabili" che annuncia, tra l'altro, il dimezzamento entro il 2030 dello spreco alimentare pro-capite nelle fasi di distribuzione e consumo, oltre alla riduzione delle perdite alimentari negli stadi a monte della filiera. Questi oltre allo sperpero di cibo producono rifiuti che con confezioni, involucri ecc diventano rifiuti che vanno in discarica, purtroppo, fuori l’economia circolare di riciclaggio di confezioni e involucri. In Italia la Legge regola la donazione del cibo alle persone bisognose. E’ stata emanata nell'agosto del 2016: si tratta della Legge n. 166, cosiddetta Legge Gadda, che tra le altre cose prevede degli incentivi economici per i commercianti con l’introduzione della possibilità per i comuni di incentivare chi dona alle organizzazioni non profit con una riduzione della tassa dei rifiuti alle attività commerciali che aderiscono alle iniziative di raccolta e redistribuzione delle eccedenze alimentari gestite dalle Associazioni e dalle Onlus. Fare attenzione nell’ eseguire la spesa è la prima prevenzione per il Pianeta, ci sono diverse soluzioni pratiche e operative anche per l’uso degli avanzi alimentari. Ci sono diverse strategie. Basta metterle in pratica e possiamo fare molto per il nostro Pianeta e per il nostro portafoglio.

L’Europa post Covid

L’Europa post Covid

La tutela dell’ambiente e della salute hanno un ruolo preminente per prevenire qualsiasi situazione pandemica.

L'Europa è stata scossa dalla crisi sanitaria causata dal Covid-19. Sebbene alcuni richiedano un rapido ritorno alle attività routinarie, vi è un crescente consenso per un futuro più resiliente e sostenibile. Una maggiore cooperazione europea in materia di salute pubblica e una maggiore omologazione fiscale per non creare zone franche, si va anche verso una direzione fornita dal Green Deal europeo che sono elementi fondamentali per superare insieme le problematiche relative al rilancio del Continente europeo. Le domande sul "come" sono le più difficili perché tutti concordano sul fatto che questa crisi è stata un campanello d'allarme per i sistemi sanitari nell'UE.

Come sempre in una crisi, è il settore pubblico che deve farsi avanti e trovare le soluzioni operative. Non è necessario solo applaudire agli operatori sanitari; sono necessarie riforme strutturali e una maggiore spesa sanitaria in un’ottica europea e nazionale. Le politiche di austerità che ci hanno spinto verso la liberalizzazione, la privatizzazione e una maggiore efficienza dei costi nel settore sanitario e queste sono sempre state pericolose perché hanno lasciato i Paesi Europei senza capacità funzionali per la gestione delle crisi. In tutta Europa, ogni partito politico ora comprende la necessità di maggiori investimenti nella sanità pubblica. Non si tratta solo di capacità di terapia intensiva ma soprattutto maggiori investimenti nella salute mentale e nella prevenzione devono essere salvati per questa crisi.

L'isolamento e il blocco hanno causato gravi problemi di salute mentale. La depressione e l'ansia hanno raggiunto il picco durante la prima ondata e gli stessi rischi si ripetono. Quindi, se si guarda a come si è evoluta la crisi e come si è diffuso il virus, è chiaro che un'assistenza sanitaria preventiva più forte avrebbe fatto risparmiare nelle cure. La prevenzione va ben oltre il settore sanitario. Riguarda i rischi ambientali e l'inquinamento, la qualità del cibo, le politiche commerciali e la sicurezza sul lavoro, per citare solo alcune aree. Un modo importante per sostenere il settore sanitario, è adottare un approccio alla"salute in tutte le politiche" in modo che gli impatti sulla salute siano presi in considerazione in tutte le zone. Inoltre, le misure messe in atto ora non saranno solo temporanee, ma porteranno a cambiamenti strutturali. A livello europeo, la solidarietà tra gli Stati membri e i loro sistemi sanitari devono essere approfondite.

L'assistenza sanitaria è ovviamente di competenza degli Stati membri, quindi sarà un conflitto. Ma i momenti di crisi sono tipicamente quelli in cui l'Unione Europea fa dei passi avanti e crisi come il Covid-19 non conoscono confini. Una politica sanitaria completa a livello europeo probabilmente non funzionerebbe poiché tocca troppe aree diversificate come la sicurezza sociale e il finanziamento sanitario e non. I Paesi europei hanno sistemi diversi con diversi livelli di privatizzazione, quindi potrebbero non essere nemmeno desiderabili e nemmeno realistici. La situazione pandemica in Italia ha mostrato la necessità che la Sanità debba essere gestita direttamente dallo Stato: la conduzione regionale ha mostrato diseguaglianze tra regioni e regioni, con carenze ed insufficienze di servizi in alcune aree del nostro Paese. Ma ciò che l'Unione europea può fare, è incorporare misure che migliorano la salute nelle aree in cui si ha più influenza giuridica come cibo e agricoltura, commercio e occupazione, ad esempio. Laddove, si può agire direttamente su questioni sanitarie, come nella gestione delle crisi, l'UE dovrebbe andare oltre le raccomandazioni per intraprendere un'azione più vincolante.

Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie ha un mandato per la gestione e la preparazione alle crisi come agenzia dell'UE e dovrebbe essere rafforzato, con maggiori poteri per coordinare le chiusure delle frontiere e le scorte di emergenza di medicinali e attrezzature. Una proposta sostenibile è la creazione di una forza sanitaria dell'UE che faccia parte dei sistemi di protezione civile europei, questo è prioritario. Medici e infermieri negli ospedali di tutta Europa potrebbero essere formati e preparati per la mobilitazione in caso di crisi o focolaio locale.

La dipendenza dell'Europa dai farmaci essenziali prodotti in altre parti del mondo è stata messa a nudo durante questa crisi. Il paracetamolo viene prodotto in Cina, confezionato in India e quindi spedito nell'UE. Immaginiamo una crisi in cui le frontiere sono state veramente chiuse e l'accesso è stato tagliato. Quindi una certa rilocalizzazione è necessaria e dovrebbe essere organizzata a livello europeo. L'Unione Europea ha anche competenza sullo sviluppo e la commercializzazione dei prodotti farmaceutici e vaccini. Durante la crisi del Covid-19, alcuni Stati membri hanno iniziato a negoziare direttamente con le aziende farmaceutiche per preordinare i vaccini. Ovviamente all'industria piace negoziare con più Paesi. Fortunatamente, la Commissione europea, da allora, ha preso il sopravvento e il risultato saranno condizioni molto migliori per lo sviluppo e la produzione di vaccini. Se vogliamo garantire la convenienza e l'accesso per i Paesi nel resto del mondo, il livello europeo è essenziale. La crisi solleva interrogativi sul modo in cui produciamo e commercializziamo prodotti farmaceutici più in generale. Il potere dell'industria farmaceutica è enorme.

Negoziano i prezzi a loro vantaggio e si concentrano sui farmaci più redditizi. Non sono interessati ai farmaci a basso costo o destinati a fasce deboli. Il settore pubblico, anche a livello europeo, dovrebbe considerare di prendere l'iniziativa e investire in laboratori pubblici per la ricerca e lo sviluppo. Una ricerca pubblica Europea favorirebbe uno sistematico studio sulle malattie rare, e oncologiche in modo che tanti ricercatori rimarrebbero in Europa a lavorare per la ricerca. Per l'Europa sarebbe motivo di orgoglio ottenere risultati dove altre nazioni hanno rinunciato solo perché non c'è un certo margine di ritorno economico. C'è anche un altro motivo per separare lo sviluppo e la commercializzazione dei farmaci. Il settore pubblico potrebbe guidare dove deve avvenire lo sviluppo e poi collaborare con il mercato per organizzare la ricerca e il marketing, in modo equo. Il mercato farmaceutico non è come gli altri mercati perché in primo luogo, come paziente, non scegli la tua malattia e, in secondo luogo, alla fine, tutto viene pagato con il denaro pubblico o le assicurazioni.

L'epidemia di Covid-19 è avvenuta a causa del rischio di diffusione zoofila che il nostro rapporto comporta con gli ecosistemi. Gli esperti hanno già avvertito che altre malattie come il Covid-19 emergeranno in futuro, in particolare, se la distruzione degli habitat degli animali selvatici continuerà. Il compito del mondo ambientalista è quella di mantenere questo messaggio sulla cima delle agende istituzionali. L'Organizzazione mondiale della sanità ha incorporato questa narrativa nella sua analisi della crisi del Covid-19.

Il passo successivo è assicurarsi che questo collegamento sia riconosciuto dai governi e dalle istituzioni europee. L'impegno dell'UE a proteggere la biodiversità nel 30% di tutti gli ecosistemi entro il 2030 deve essere sostenuto da investimenti e azioni. I collegamenti tra la perdita di biodiversità e le origini di questa crisi, nonché quelli tra inquinamento atmosferico e vulnerabilità al Covid-19, mostrano che l'ambiente, il cambiamento climatico e la salute non possono essere separati. Se vogliamo pensare alla resilienza ed evitare future pandemie, tali questioni devono essere affrontate insieme in modo sinergico e scientifico. Potrebbe sembrare strano dirlo, ma il cambiamento climatico è insignificante. Va molto lentamente e le persone non possono vedere i suoi effetti immediati. Ma ancora, stiamo parlando di eventi che impiegano circa 10, 15, anche 30 anni per diventare visibili. Il cambiamento climatico è astratto e sarà il problema della prossima generazione.

La pandemia, d'altra parte, è stata così dirompente; ha portato tutto a un punto morto in un modo che non avremmo potuto immaginare un anno fa. Era qualcosa fuori dalla fantascienza, ma è successo. Quando il cambiamento è così radicale - per la società, per le aziende, per l'industria, per tutti - è il momento di orientare la ripresa in una nuova direzione. Le forze, principalmente di estrema destra, che vogliono tornare al business come al solito e attenersi a un'economia dei combustibili fossili tradizionali, sono ora in minoranza. In altri gruppi politici, nella maggior parte dei paesi dell'UE, ma non in tutti, e anche nella Commissione europea, questa crisi è intesa come un momento per costruire un futuro basato sulla neutralità climatica e sulla digitalizzazione. Le proposte ecologiste e le idee per la ripresa e la resilienza avanzate durante la crisi hanno continuato a dare forma al pacchetto di ripresa dell'UE. Perché quando ricostruisci un'economia, non pensi a una sequenza temporale di due o tre anni, ma guardi 20 o 30 anni avanti. Le ambizioni e la tempistica per le transizioni climatiche ed energetiche sono chiare e forniscono la direzione da prendere.

Il Green Deal europeo ovviamente sembra fantastico e ambizioso, ma i piani sembrano sempre belli sulla carta. I progressi compiuti attraverso una strategia per la biodiversità e gli investimenti verdi possono essere completamente indeboliti con riforme agricole che non impongono i tagli dei pesticidi di cui si ha bisogno e una politica commerciale che consenta di ridurre gli standard degli anticrittogamici. L’auspicio è quello che con il post pandemia si possano individuare azioni chiare, concrete e sostenibili per creare sempre nuove opportunità.

Buon anno a tutti!

Ricaricare il futuro

Ricaricare il futuro

La mobilità vive varie evoluzioni che cercano nuovi supporti.

I mezzi e i veicoli a motore stanno vivendo una graduale trasformazione nella ristrutturazione e sostituzione tecnologica dei propulsori. In modo particolare, gradualmente l’auto elettrica si sta lentamente diffondendo nonostante il costo per l’acquisto più alto rispetto agli autoveicoli a motore termico. Infatti, i costruttori stanno cercando di gestirsi in un momento storico nel quale ci sono sfide su più fronti: il Covid-19, che con le positività e i lockdown hanno ridotto sensibilmente le vendite; le regole sulle emissioni inquinanti, costringe a forzare i tempi industriali per nuove vetture sempre più ecologiche; e la Brexit, che è ancora un grande punto interrogativo con una situazione incerta per la situazione.

Tuttavia, l’acquisto di un’auto elettrica oggi comporta un notevole risparmio sul carburante, ma ciò che non è che chiaro a tutti è la diffusione e la spesa relativa all’uso delle colonnine elettriche per ricaricare i veicoli di nuova generazione. La ricarica per un auto elettrica può comportare una spesa più o meno alta a seconda della modalità attraverso cui viene effettuata, che si può differenziare in due tipologie, quella privata o domestica e quella pubblica, da eseguire dunque fuori casa in apposite aree adibite ad ospitare colonnine elettriche. Sicuramente un mezzo per la diffusione di questi veicoli sono necessari più colonnine distribuite nei luoghi più disparati in possibilità di centri commerciali, su strade principali ….

Con il "decreto Semplificazioni" licenziato in via definitiva da Montecitorio, le colonnine accessibili al pubblico, al momento solo 7.400 in tutta Italia, dovrebbero infatti diventare circa 60 mila. A imprimere la svolta sarà l’obbligo rivolto ai Comuni di regolamentare ‘’con propri provvedimenti’’, entro 6 mesi dalla pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale, “l’installazione, la realizzazione e la gestione delle infrastrutture”, per avere “almeno un punto di ricarica ogni mille abitanti”.

In Comuni di media grandezze vorrebbe dire avere dalle 50 alle 100 colonnine di ricarica e in tutta Italia, considerando una popolazione di circa 60 milioni di persone, fanno almeno 60 mila colonnine, contro il limite minimo di 10 mila infrastrutture stabilito dalle norme attuali. La disposizione disciplina anche l’abolizione delle procedure burocratiche di autorizzazione e la possibilità di veder ridotto o azzerato il canone per l’occupazione del suolo pubblico se l'energia erogata sarà di provenienza certificata da fonti rinnovabili. In ogni caso, l’onere sarà calcolato solo sullo spazio occupato materialmente dalla colonnina, senza calcolare l’area degli stalli. Tali colonnine dovranno inoltre essere accessibili in modo non discriminatorio, per favorire l'accesso alla ricarica anche ai diversamente abili. Un altro tassello importante per la crescita della mobilità elettrica è il taglio delle tariffe per la ricarica contenuto del decreto Semplificazioni. Nonostante le incertezze espresse da Arera -l’Autorità per l'Energia- prima dell’estate, infatti, il testo prevede che sia la stessa Authority, entro 180 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento, a definire ‘’tariffe per la fornitura dell’energia elettrica destinata alla ricarica dei veicoli, applicabili ai punti di prelievo in ambito privato e agli operatori del servizio di ricarica in ambito pubblico ’’, che siano tali da “assicurare un costo dell’energia elettrica non superiore a quello previsto per i clienti domestici residenti.

Si tratta di una svolta importante per coloro che non hanno la possibilità di ricaricare l’auto da casa, visto che ad oggi una semplice colonnina in corrente alternata eroga energia al costo di circa 40 centesimi per kWh, ovvero il doppio del costo di un contratto domestico. C’è anche una norma volta a scoraggiare i maleducati che occupano per ore il punto di ricarica. In caso di sosta a seguito del completamento della ricarica, possano essere applicate tariffe mirate a disincentivare l’impegno della stazione di ricarica oltre un periodo massimo di un’ora dal termine del “pieno”. Tale limite temporale non si applica tuttavia dalle 23 alle 7 del mattino, ad eccezione dei punti di ricarica con potenza superiore a 22 kW.

Novità sono previste anche per la ricarica in autostrada: tutte le concessioni autostradali che verranno rilasciate dall’entrata in vigore del testo, dovranno prevedere le dotazioni di colonnine nelle aree di servizio. Rimane però un vuoto da colmare: il provvedimento non fissa degli standard minimi e chi viaggia in autostrada sa bene quanto sia importante la potenza e quindi il tempo di ricarica. Servono infrastrutture per la ricarica: è un segnale che dobbiamo dare tutti i cittadini con l’acquisto di nuove autovetture elettriche per creare una nuova svolta sostenibile.

L’Agenda 2030 nella ‘prassi quotidiana

L’Agenda 2030 nella prassi quotidiana

Cittadini, imprese, istituzioni possono fare la loro parte per il conseguimento di obiettivi sostenibili.

Negli ultimi anni le parole come sviluppo sostenibile o sostenibilità hanno rappresentato il superamento semantico della parola ecologia che per un quarantennio connotava una corretta interrelazione tra gli esseri viventi per trovare un equilibrio per quello possibile di natura.

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