Le azioni di Legambiente per piazza Di Vagno





Le azioni di Legambiente per piazza Di Vagno

Per tutelare uno spazio urbano con una parte di storia antica

Sappiamo che la nostra città è ricca nel sottosuolo di acque sotterranee e di cunicoli, di gallerie nel centro storico che collegavano vari immobili tra l’area intra moenia con quella extra moenia dell’attuale parte prossima a quella perimetrale del corso cittadino.

 

Non sappiamo se l’area delimitata di piazza Di Vagno possa o potrà entrare mai tra quei casi di fantarcheologia, criptoarcheologia, archeologia alternativa o pseudo archeologia, tra i nuovi enigmi non risolti, ignoti per i cittadini e quelle realtà sociali veramente impegnate nell’andare al di là di quella palizzata che delimita la suddetta piazza, nonostante la nostra associazione da circa un anno cerca praticamente da sola nell’andare a capire cosa si cela nell’area e che Legambiente abbia chiesto formale richiesta di accesso agli atti per capire con dati alla mano cosa è stato conservato dal tempo e dalla storia di quel terribile crollo del 1922 , in cui la nostra città entrò probabilmente, per la prima volta, nelle prime pagine della cronaca nazionale e nelle interpellanze dei parlamentari di quel tempo. L’ingegnere coratino Luigi Santarella racconta la situazione del 1922, asserendo che la maggior parte delle case di Corato, quelle provviste di ampi sotterranei, poggiano con le loro fondamenta sullo strato di argilla; le altre case munite di sotterranei, poggiano sullo strato superiore di tufo. Le prime infiltrazioni iniziarono già nell’estate del 1919 con il conseguente allagamento delle cantine. La situazione diventò critica successivamente, nell’estate del 1921 anche per l’apporto di nuove acque derivanti dall’acquedotto Pugliese e per la perdita dell’abitudine da parte dei cittadini di attingere l’acqua dai pozzi, abitudine che ristabiliva l’equilibrio dei livelli dell’acqua sotterranea. Più di tre quarti degli edifici della città furono seriamente ed irrimediabilmente compromessi: i crolli si ebbero quasi tutti nel centro della città, nella parte più antica e popolata. Il primo Maggio un boato fece sussultare la cittadinanza in piazza del Popolo (l’odierna Piazza di Vagno). Crollò allora il Palazzo Pedone trascinando con sé nelle rovine metà del Palazzo Pagano. In seguito a questo crollo, due giorni dopo, si verificò un disastro terribile perché venne giù la Chiesa del Monte di Pietà, lasciando scorgere letali presagi. Corato vide così andare distrutta una delle testimonianze di maggior pregio del suo patrimonio urbanistico: il Palazzo Nuovo, insieme ad un altro palazzo di grande valore storico, quello dei Candido. Il dissesto idrogeologico provocò l’abbondare di senzatetto e lo sfollamento di moltissime famiglie coratine. Molti trovarono rifugio nei baraccamenti di legno, nelle tende, nelle famose “suppenne”, le ultime abbattute solo sedici anni fa. La tragedia di Corato fu per molti giorni sulle prime pagine dei giornali nazionali, ma erano soprattutto i corrispondenti del Corriere delle Puglie e della Gazzetta di Puglia, ma anche altri quotidiani nazionali inviarono a Corato vari inviati come La Stampa e il Corriere della Sera per raccontare il disastro nei minimi particolari: gli articoli sono visionabili negli archivi online degli stessi giornali. Anche l’allora Ministro dei Lavori Pubblici, l’onorevole napoletano Vincenzo Riccio, (1858 – 1928), presentò alla Camera, chiedendone la discussione d’urgenza, il disegno di legge per Corato recante la firma de Presidente del Consiglio Camillo Peano (1863- 1930) a favore dei cittadini sfollati in seguito all’immane tragedia. Il disegno di legge prevedeva lo stanziamento di 9 milioni di lire per risolvere il problema. Il tempo, l’oblio ed una lastra di cemento avevano seppellito una parte di quella memoria a cui i cittadini possano sapere che cosa era stato coperto. Legambiente ha chiesto formalmente al Ministero ed agli organi preposti le informazioni e le relazioni ufficiali sul sito, ma ignoriamo per quale motivazione un’associazione che tutela gli interessi pubblici e diffusi, chiedendo formalmente l’accesso agli atti in base alla legge Legge 241/90, non si debba fornire alcuna risposta, finora, senza motivazioni, seppur la Direzione Generale del Ministero Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma ci ha opportunamente informati per conoscenza, come da nota del 17 febbraio u.s. Non solo con la nostra azione, abbiamo favorito l’indagine archeologica che è partita stranamente, solo dopo l’appalto dei lavori sulla piazza, quando doveva essere un’azione che la doveva precedere. Il Ministero ci ha risposto delegando alla Sovrintendenza. Chiederemo a questo punto, un incontro formale con la Sovrintendenza. Non vorremo invocare le risposte agli ufo ed agli alieni o cercare un parere ad un famoso mago o cartomante, o un chiaroveggente per avere una consulenza per sapere cosa è rimasto sotto piazza Di Vagno. Probabilmente la più celebre frase attribuita ad un noto personaggio della Prima Repubblica, sono ormai diventate proverbi ormai di uso comune. Diceva, tra le altre cose: ”Pensar male degli altri non è sicuramente una cosa buona da fare, eppure anche i pensieri più maligni molte volte hanno un fondamento di verità. “ Talvolta, sembra che abbia dichiarato con acuta sagacia e sarcasmo: ”Non basta avere ragione: bisogna avere anche qualcuno che te la dia.” Su questo siamo consapevoli e continueremo nella nostra azione.

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