Legambiente costituisce il comitato NoTriv

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Legambiente costituisce il comitato NoTriv

Per il referendum del 17 aprile l’associazione ambientalista si mobilita attivando percorsi di condivisione.

E’ tra l’assurdo e il paradossale: lo Sblocca Italia ha dichiarato “strategiche” le trivellazioni, esautorando di fatto le Regioni e gli enti locali da ogni decisione. Lo scorso dicembre poi, favorita la pendenza di sei quesiti referendari (dei quali finora è sopravvissuto soltanto quello sulle concessioni già in essere), ha introdotto con la legge di Stabilità il divieto di ricerca di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa (poi il Mise ha rigettato 26 progetti) e garantito con la maggiore partecipazione agli enti locali.

 

Anche l’allarme sulle trivelle al largo delle Isole Tremiti è rientrato: la Petroceltic, titolare della concessione, ha annunciato che non la utilizzerà, in una fase dove sta crollando il prezzo del greggio e i Paesi produttori stanno facendo di tutto per non farlo ulteriormente abbassare. Rossella Muroni, Presidente di Legambiente ha dichiarato: “L’appello, prima al Governo poi al Capo delle Stato, perché si decidesse per un election day, che accorpasse in un’unica data il referendum popolare sulle trivelle e le elezioni amministrative, è rimasto inascoltato. Per Legambiente parte, dunque, la sfida referendaria.[…] Insieme a tutte le organizzazioni favorevoli a questo referendum e a tutti i nostri circoli e le nostre strutture sul territorio organizzeremo la mobilitazione. Con un tempo così ridotto a disposizione e con un quesito ridotto all’osso, sarà un grande sforzo, ma daremo il massimo per cercare di convincere gli italiani a votare. Saranno due mesi di intenso lavoro per parlare del futuro dell’energia, che non passa dalle trivelle e dalle fonti fossili, ma dalle rinnovabili e dall’innovazione, nell’interesse delle famiglie e del clima”. È il referendum dell’assurdo quello del prossimo 17 aprile sulle trivelle. Il governo ha deciso arbitrariamente di boicottare la consultazione sul prolungamento “a vita” delle concessioni petrolifere in scadenza, quelle entro le 12 miglia al largo dei nostri mari, fissando una data a breve scadenza e negando di fatti l’accorpamento con il voto alle Amministrative in un’ Election day. Significa un esborso di circa 360 milioni di euro per le casse dello Stato, ma la cifra potrebbe addirittura raddoppiare: la Corte Costituzionale, infatti, sta vagliando due conflitti di attribuzione (sulle trivelle a terra e sul coinvolgimento degli enti locali) che potrebbero diventare altrettanti quesiti, e, quindi, rendere necessario un nuovo appuntamento referendario sullo stesso tema. Da qui l’appello – caduto nel vuoto – al Presidente Mattarella a non controfirmare l’indizione delle consultazioni, anche per evitare un contrasto con il pronunciamento della Consulta, atteso per il 9 marzo. Su questo tema il governo è nel pallone. Dopo la notizia che anche la piattaforma abruzzese di Ombrina Mare non si farà, restano in piedi i progetti in Sicilia, quelli oltre le 12 miglia e i tre grandi giacimenti dove, già, si estrae petrolio: il Guendalina di Eni nell’Adriatico, il Rospo di Edison davanti alle coste abruzzesi e il Vega, anche questo di Edison, nel canale di Sicilia davanti a Ragusa. Questi ultimi, se passa il sì, alla scadenza delle concessioni dovranno cessare le attività. Il timore del governo è che, una volta raggiunto il quorum, la portata del referendum vada ben oltre la lettera del quesito e la vittoria del “sì” consolidi un consenso generalizzato ad arrestare l’italica “corsetta” al petrolio, con un silenzio quasi assordante dei Media nazionali. D’altro canto, la mobilitazione dell’ultimo anno ha visto saldarsi le istanze di comitati locali, associazioni ambientaliste come, tra l’altro, anche Legambiente, sindaci e Regioni. E nel frattempo cadono progressivamente anche le ragioni di chi spiegava che «se non lo facciamo noi, il petrolio lo estrarranno i nostri dirimpettai». Il primo ministro croato Tihomir Orešković ha annunciato di recente una moratoria delle perforazioni, mentre i NoTriv pugliesi hanno chiesto al governo montenegrino, e a quello italiano che deve dare il consenso, di bloccare ogni attività di ricerca per gli evidenti rischi ambientali con il pericolo di intercettare involontariamente ordigni inesplosi. Non solo, le conferenze episcopali dell’Italia meridionale hanno rimarcato un secco diniego alle trivellazioni nell’Adriatico tanto che una ferma condanna giunge anche dall’episcopato. Monsignor Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, osserva che “il problema è innanzitutto di politica generale; una politica energetica di carattere generale, perché anche il governo più volte ha sostenuto che la politica portata avanti fino ad oggi deve essere assolutamente cambiata e che bisogna cercare altre fonti energetiche”. Secondo il presule, intervistato dalla Radio Vaticana, c’è quindi “una questione di carattere strategico che riguarda l’impostazione di questa politica”. Mons. Angiuli spiega poi che sembrerebbe “acclarato” che in Puglia “ci sia poco petrolio, oltretutto di scarso valore”. E “non si vede quindi il motivo di impegnare questo nostro territorio, che si fonda sul turismo e non si capisce perché si debba deturparlo senza poi avere dei vantaggi, perché non ce ne sarà nessuno di carattere economico. La scelta non sembra quindi razionale. Questo è il punto fondamentale”. Il problema è anche un altro, secondo il vescovo. “Non risulta comprensibile perché si debba dare addirittura a sette multinazionali il compito di portare avanti delle ricerche che non porteranno alcun vantaggio economico ma che sicuramente deturperanno il territorio”, afferma. “Se si tiene conto che l’unica risorsa del Meridione e del Sud Salento è il turismo, vuol dire che si aggiunge danno a danno; se poi si pensa che abbiamo già il grave problema della Xylella ancora non risolto, non so come si possa prevedere qualcosa del genere”. Al di là (o forse a causa) delle pressioni delle lobby, le previsioni contenute nella Strategia energetica nazionale, datata 2013, enfatizzano il potenziale delle nostre riserve, i giacimenti ancora da sfruttare. «Le risorse potenziali totali ammontano a 700 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, ndr) di idrocarburi (peraltro, dato che negli ultimi 10 anni l’attività esplorativa si è ridotta al minimo, è probabile che tali dati di riserve siano definiti largamente per difetto)», recita il documento politico-programmatico. Stando alle previsioni governative, “trivellando tutto il trivellabile” copriremmo l’intero fabbisogno italiano di gas e di petrolio per oltre 5 anni, che diventano 50 mantenendo l’attuale livello di ricorso agli idrocarburi estratti in Italia. Il documento, in realtà, chiarisce che le riserve “certe” ammontano a 126 Mtep, mentre sono soltanto “probabili e possibili” le restanti 574. Per Legambiente «le nostre riserve coprirebbero soltanto 8 settimane di fabbisogno nazionale, un’inezia rispetto ai rischi e ai costi che comporterebbe estrarlo». È un’assurdità, spiegano dal movimento NoTriv, dinanzi a un crollo del prezzo del petrolio come quello attuale.

Pertanto, come circolo cittadino di Legambiente, costituiamo il Comitato cittadino referendario contro le trivellazioni del nostro mare invitando associazioni, partiti e cittadini ad aderire alle varie iniziative che saranno poste in essere nelle prossime settimane, il primo incontro è previsto venerdì prossimo alle ore 19,30 presso la sede della nostra associazione in Via Niccolini,29 in prossimità di Piazza Corsica-Grenoble.